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Il seminario come “scuola del cuore” L’eco delle parole di Papa Leone XIV

È mercoledì 24 giugno 2025. Siamo nella Basilica di San Pietro, davanti all’Altare della Confessione. La basilica risuona di attesa. Il viso del Santo Padre Leone XIV è sereno. Dopo tanto silenzio, afferma: “Oggi non siete solo pellegrini, ma anche testimoni di speranza”. Le sue parole, che ho avuto la grazia di ascoltare di persona a Roma, illuminano il cuore: non era un semplice discorso, ma una chiamata a diventare cuori ardenti, formati “nella logica del chicco di grano” che muore per portare frutto.

Il Papa insiste: “Gesù vi chiama anzitutto a vivere un’esperienza di amicizia con Lui e con i compagni di cordata”. Quella mattina, il cerchio di visi giovani intorno a me viveva un’attenzione vera: non si parlava di doveri ministeriali, ma di silenzio, amicizia, interiorità. Una scuola del cuore che trova nella preghiera la sua palestra più alta. Dice il Papa: “Dio ci parla proprio lì, nel cuore. Dios nos habla en el corazón, tenemos quesaber escucharlo”. Non è retorica, è invito a fare del proprio cuore un altare di ascolto, una stanza segreta dove la Parola diventa carne.

La sua enfasi sul cuore mite e umile di Cristo mi ha colpito: “Siate ponti e non ostacoli”, ripeteva, come se ci ricordasse che ogni seminarista è chiamato a diventare “ponte” tra Dio e l’uomo, tra il Vangelo e la vita di ogni giorno. “Il seminario deve essere una scuola degli affetti”, ha detto, in un contesto che oggi respira velocità, relazioni liquide, frammenti di rapporti che non bastano mai. Ecco allora emerge con forza la sfida di questi giovani: imparare un linguaggio antico e profondo, la tenerezza.

E qui risuona la parola “ferita”. “Scendere nel cuore a volte può farci paura, perché in esso ci sono anche delle ferite, […] ma da quelle ferite nascerà la capacità di stare accanto a coloro che soffrono.” Quanto autentica è questa verità. Non un sacerdote “perfetto”, ma uno che sa stare nella fragilità propria e altrui, senza chirurghi, ma con la grazia del buon samaritano.

 Ho sentito l’eco delle sue parole risuonare durante la preghiera: “Invocate lo Spirito Santo, perché plasmi in voi un cuore docile”. Plasmarlo: richiede fatica, tempo, studio – ma è un seme che mette radici nella cultura, nell’arte, nella poesia, perfino nelle sfide dell’intelligenza artificiale. Un richiamo che unisce tradizione e contemporaneità, ascolto del passato e responsabilità verso il futuro.

Poi il momento più toccante: “Il Cuore di Cristo è animato da un’immensa compassione… fate della vostra vita un dono d’amore.” È stato come vedere, più di un discorso, un grembo di compassione che si incarna nelle nostre vite. In quel momento, il seminario diventava davvero “Chiesa in uscita”, missionaria, pronta a spezzare pane e verbo nell’oggi di un mondo assetato di senso.

Un pensiero personale? Credo che la vera conversione del cuore passi proprio per l’incontro tra quella Parola, pronunciata dal Papa, e le nostre esistenze concrete. Il futuro di noi seminaristi non sta nella quantità di nozioni teologiche che accumuleremo, ma nella profondità del nostro sentire, nella capacità di poter essere cuori docili, autentici, e, perché no, anche vulnerabili.

La Chiesa ci attende. Ma non ci attende come funzionari sacri. Ci attende come cuori ardenti, capaci di custodire e donare. In un mondo che corre e dimentica, noi siamo chiamati a ricordare e rimanere.



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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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