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Il teatro ci appartiene, è dentro di noi

L’allentamento delle misure sanitarie restrittive e la fine del coprifuoco, in seguito al calo dei contagi e all’incremento del numero degli immunizzati, ci porta temporaneamente a riappropriarci di affetti, di luoghi, di eventi. Grande attesa per la 56ª stagione al Teatro Greco di Siracusa dove, tra il 3 luglio e il 21 agosto 2021, saranno rappresentate tre tragedie (Coefore ed Eumenidi di Eschilo, Baccanti di Euripide) e una commedia (Nuvole di Aristofane) (per il calendario: INDA | Istituto Nazionale Dramma Antico | Fondazione ONLUS | Siracusa | Spettacoli classici e attività culturali (indafondazione.org)). Coloro che hanno avvertito il vuoto della chiusura dei teatri a causa della pandemia possono tornare con ottimismo a pregustare l’effetto ovattato dell’acustica perfetta o la magia dell’istante in cui tutto tace e si alza il sipario; si può leggere un libro, guardare un film su una comoda poltrona a casa, ma nulla può sostituire la rappresentazione teatrale, che si sostanzia dell’incontro empatico tra attore e spettatore. Sono stati pienamente consapevoli di ciò gli antichi greci, che hanno creato e hanno fatto di questa forma d’arte una delle manifestazioni più alte della loro civiltà. Nell’Atene democratica del V sec. a. C. il teatro tragico greco, rappresentato da Eschilo, Sofocle, Euripide, raggiunse una perfezione che non fu semplicemente il risultato di maturazione stilistica e di duttilità espressiva, ma anche di un compiuto progetto politico che vide il cittadino protagonista della vita pubblica, attraverso il ruolo decisionale nell’assemblea popolare e nei tribunali, e spettatore delle tragedie in particolari periodi dell’anno. La partecipazione alle rappresentazioni tragiche aveva, infatti, la funzione non solo di trasmettere ai cittadini il senso di identità e di appartenenza alla polis, ma anche di indurre alla riflessione e ad un atteggiamento critico su temi che si sarebbero loro ripresentati nel quotidiano svolgimento delle attività pubbliche, della vita.

Tutto ciò era possibile, secondo Aristotele, attraverso il processo di identificazione nelle passioni rappresentate sulla scena e catarsi, di potenziamento delle passioni e raggiungimento di uno stato di pace, di equilibrio. I principali temi rappresentati nelle tragedie greche costituiscono ancora oggi l’argomento attorno a cui si sviluppa il dramma moderno; sono trascorsi molti secoli, ma l’uomo è rimasto fondamentalmente uguale a se stesso, con i suoi perché e i suoi dilemmi irrisolti. L’arte teatrale, pur avendo subito una necessaria evoluzione in sintonia col progresso del pensiero, non può prescindere tuttavia da quell’elemento che costituisce la sua origine ed insieme la sua essenza: la corrispondenza effettiva tra attori e spettatori. Non può esserci teatro senza spettatori; non perché il successo di uno spettacolo dipenda dal numero dei biglietti venduti. La categoria del “successo”, usata dall’uomo contemporaneo per acquietare l’ansia di vivere, con il teatro, infatti, non funziona; può ben adattarsi allo spettacolo, che ha come fine quello di distrarre, di intrattenere, e che finisce nel momento in cui si esce dalla sala, ma non al teatro che, al contrario, ha come fine quello di attrarre, di trattenere, e che comincia quando si esce dalla sala. Il teatro, in fondo, ci appartiene, è dentro di noi ed ogni qualvolta ci troviamo nella condizione di spettatori, con l’animo predisposto all’ascolto, ci prepariamo a vivere un’avventura, ad attraversare lo spazio intimo della nostra vita, con tutti i suoi interrogativi disattesi, grazie al privilegiato rapporto di complicità con gli attori, che si realizza nel riconoscimento e nella condivisione di ciò che accade sulla scena. Lo spettatore, quindi, ha un ruolo attivo nella rappresentazione scenica perché, insieme all’attore, tenta disperatamente di dare un senso alla vita, nell’incessante ricerca di risposte; compito del teatro non è offrire certezze, (ragione per cui molti non riescono ad apprezzarlo) ma sollecitare la riflessione sulla straordinaria molteplicità del vivere. Ed anche se le risposte tarderanno a giungere, l’arte avrà già assolto al suo compito.


di Tinuccia Russo



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