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"Il Vangelo secondo Matteo" di Pasolini e l’umanità di Cristo

Il borgo lucano di Barile, i calanchi di Cutro, la costa di Isola Capo Rizzuto, il Parco dell’Etna, Castel del Monte, le gravine di Massafra, borghi vicino Roma o del viterbese e, soprattutto, i sassi di Matera sono alcuni dei luoghi ove Pier Paolo Pasolini girò “Il Vangelo secondo Matteo”. Insomma, nel centro-sud rurale dell’Italia, per lo scrittore e regista morto 50 anni fa, si trovavano gli scenari adatti a rappresentare la Palestina del tempo di Gesù. In particolare ancora nel 1964, anno di uscita del film, i sassi di Matera, “vergogna nazionale”, erano il set ideale per la Gerusalemme del film pasoliniano.  Furono scelte in linea con il pensiero dell’artista il quale, pur non credente, fu costantemente affascinato dal messaggio evangelico, considerato mosso dall’amore per tutti i poveri e gli emarginati. Infatti, nel film numerosi attori non professionisti furono presi dalla gente comune, tra contadini, pastori e i tanti bambini di quel mondo rurale popolare in cui, secondo Pasolini, poteva ancora rintracciarsi la presenza del sacro nella vita quotidiana. I volti segnati dalla povertà e dalla fatica, la pelle bruciata dal sole, gli accenti regionali dei vari attori sono tutti tratti che esprimono l’umanità dei vari personaggi in modo vero, senza alcun artificio, su uno scenario anch’esso autentico. La scelta dell’attore di Cristo fu singolare: Enrique Irazoqui, giovane studente catalano di Economia, responsabile di un sindacato clandestino in lotta contro la dittatura franchista. La figura di Maria durante la Passione fu interpretata da Susanna Colussi, madre dello stesso Pasolini. La colonna sonora arricchisce ulteriormente l’atmosfera del film: brani tratti da autori classici come Mozart e Bach o da moderni come Prokofiev, canti popolari della Russia, da spiritual  alla Missa Luba congolese accompagnano con delicatezza le scene, senza mai sovrastare la narrazione, ma rendendola ancora più intensa. Il racconto prosegue così senza forzature, con una certa fedeltà al Vangelo di Matteo, sottolineando soprattutto la potenza della parola di Cristo e la novità del suo messaggio, senza alcuna concessione ad artifici retorici di natura commerciale presenti in altri film sui Vangeli.Da notare che Pasolini, da non credente, si pose il problema di come rappresentare il racconto evangelico con fedeltà al messaggio originario. Per la dimensione arcaica del sacro come lui la intendeva, non bastava semplicemente esemplificarla con i volti e i corpi di popolani del Meridione rurale: era necessario esprimere l’amore del fedele stesso perché rappresentare la figura di Cristo voleva dire anche credere al Vangelo. Ecco spiegata l’insistenza dell’inquadratura, spesso effettuata con la camera a mano, su primi piani e dettagli, sugli sguardi dei discepoli, proprio per rappresentare la coscienza dei fedeli durante l’osservazione della vita di Cristo: in tal modo, lo sguardo del regista non credente si sovrappone a quello del credente. Insomma, rivedere oggi “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, dedicato alla memoria di Giovanni XXIII, non significa solo accostarsi a una pietra miliare del cinema italiano, ma è anche esperienza di un dialogo tra l’uomo e la dimensione del sacro in un artista che, pur partendo da una posizione di dichiarato ateismo, si rivela capace di uno sguardo autenticamente cristiano.

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di Alessandro Di Bella


 

 
 
 

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Gestito Antonino Cicero

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