L’algoritmo e… il Vangelo
- taborsettepuntozer

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Non ha bisogno di templi, né di altari. Non pretende sacrifici umani — non ancora, almeno — ma riceve in dono ogni giorno il nostro tempo, la nostra attenzione e, soprattutto, la nostra fiducia. È l’algoritmo, questo moderno demiurgo senza volto, che non crea nulla, ma riorganizza, impacchetta, rispedisce al mittente la realtà, filtrata secondo criteri che nessuno capisce e che quasi tutti trovano comodi. Vi sarà capitato: entrate in un sito per cercare informazioni su un argomento e subito iniziano a comparire articoli o video che propongono contenuti simili. Perché ogni volta che clicchiamo, lasciamo una traccia. E queste tracce, come sassolini lungo il cammino, vengono raccolte da sistemi che apprendono. Sono loro a decidere cosa vedere dopo, cosa leggere, chi “ci assomiglia”. In breve: a chi apparteniamo. Provano a interpretare i nostri gusti così che le proposte successive siano di nostro gradimento. Evitiamo la fatica di cercare e troviamo la tavola già apparecchiata con le pietanze preferite. Tuttavia, senza accorgercene, entriamo in una bolla dove tutto suona familiare. Tutto conferma ciò che già crediamo. È il bias di conferma: appaga il nostro bisogno di sentire che abbiamo ragione. E l’algoritmo, come un servo sollecito, ci accontenta. E più consultiamo contenuti simili, più ci vengono mostrati contenuti simili — in quantità crescente. Il prezzo è alto: non incontriamo più l'altro e ci richiudiamo in un recinto. L’algoritmo protegge la nostra visione del mondo come fosse un vaso fragile. Ci ripete che siamo nel giusto. E ci mostra, di chi la pensa diversamente, solo le caricature. Spesso in contenuti brevi, per slogan: l’esatto contrario di ciò che richiederebbero i temi complessi. Così crescono le radicalizzazioni. Ognuno nel suo recinto, ognuno con le sue verità assolute. Non si cerca la verità: si cerca conferma. E quando il confronto sparisce, anche la democrazia si ammala. Sembra che i social siano sempre più determinanti per la vittoria di idee sempre più estremiste, che fanno leva su paure e debolezze. E quando il confronto riesce comunque a farsi strada — nei commenti, nei post, nelle discussioni — è spesso velenoso: violento, personale, senza rispetto. È uno scontro tra tifoserie armate di parole. E ognuno rincasa più convinto di prima, ma anche più solo.Nemmeno la religione si salva. Dentro la Chiesa, l’algoritmo agisce con la stessa logica selettiva: se segui un certo canale spirituale, ti verrà suggerito altro dello stesso tenore. I social prediligono contenuti brevi, poco adatti all'approfondimento; così, alcuni iniziano cercando conforto e, senza quasi accorgersene, si ritrovano immersi in teorie scismatiche, crociate digitali contro papi, concili e modernità. Il sedevacantismo, una volta relegato a circoli di fanatici da sacrestia, oggi prolifera in pagine ben curate, video ben montati, follower ben addestrati. Il Vangelo è un altro algoritmo, ma dalle infinite variabili. Uno strano algoritmo che non rafforza le certezze, ma le smonta. Che non ci mostra ciò che vogliamo vedere, ma ciò che spesso vogliamo evitare: il volto dell’altro, la scomodità della misericordia, il prezzo della giustizia. Gesù non crea bolle. Le rompe. Entra nelle case sbagliate, parla con i nemici, ascolta i peccatori. Non cerca “target”: cerca cuori. E non predica a chi è già convinto, ma a chi ancora cerca. Il Dio della Bibbia è quello che ti dice: “Va’, esci dalla tua terra”. È quello che non si lascia addomesticare da nessuna macchina, da nessuna ideologia, da nessuna identità digitale. È quello che spiazza. Allora forse il primo gesto spirituale, oggi, è disattivare le notifiche. È cercare voci che ci contraddicono. È leggere chi non la pensa come noi, ascoltare chi ha un’altra storia, un altro dolore, un’altra visione. La fede non ha paura del confronto. Anzi: lo desidera. Perché chi cerca Dio sa che può rivelarsi ovunque. persino nello sguardo di chi ci sfida, ci spiazza, ci smonta.
Non ha bisogno di templi, né di altari. Non pretende sacrifici umani — non ancora, almeno — ma riceve in dono ogni giorno il nostro tempo, la nostra attenzione e, soprattutto, la nostra fiducia. È l’algoritmo, questo moderno demiurgo senza volto, che non crea nulla, ma riorganizza, impacchetta, rispedisce al mittente la realtà, filtrata secondo criteri che nessuno capisce e che quasi tutti trovano comodi. Vi sarà capitato: entrate in un sito per cercare informazioni su un argomento e subito iniziano a comparire articoli o video che propongono contenuti simili. Perché ogni volta che clicchiamo, lasciamo una traccia. E queste tracce, come sassolini lungo il cammino, vengono raccolte da sistemi che apprendono. Sono loro a decidere cosa vedere dopo, cosa leggere, chi “ci assomiglia”. In breve: a chi apparteniamo. Provano a interpretare i nostri gusti così che le proposte successive siano di nostro gradimento. Evitiamo la fatica di cercare e troviamo la tavola già apparecchiata con le pietanze preferite. Tuttavia, senza accorgercene, entriamo in una bolla dove tutto suona familiare. Tutto conferma ciò che già crediamo. È il bias di conferma: appaga il nostro bisogno di sentire che abbiamo ragione. E l’algoritmo, come un servo sollecito, ci accontenta. E più consultiamo contenuti simili, più ci vengono mostrati contenuti simili — in quantità crescente. Il prezzo è alto: non incontriamo più l'altro e ci richiudiamo in un recinto. L’algoritmo protegge la nostra visione del mondo come fosse un vaso fragile. Ci ripete che siamo nel giusto. E ci mostra, di chi la pensa diversamente, solo le caricature. Spesso in contenuti brevi, per slogan: l’esatto contrario di ciò che richiederebbero i temi complessi. Così crescono le radicalizzazioni. Ognuno nel suo recinto, ognuno con le sue verità assolute. Non si cerca la verità: si cerca conferma. E quando il confronto sparisce, anche la democrazia si ammala. Sembra che i social siano sempre più determinanti per la vittoria di idee sempre più estremiste, che fanno leva su paure e debolezze. E quando il confronto riesce comunque a farsi strada — nei commenti, nei post, nelle discussioni — è spesso velenoso: violento, personale, senza rispetto. È uno scontro tra tifoserie armate di parole. E ognuno rincasa più convinto di prima, ma anche più solo.Nemmeno la religione si salva. Dentro la Chiesa, l’algoritmo agisce con la stessa logica selettiva: se segui un certo canale spirituale, ti verrà suggerito altro dello stesso tenore. I social prediligono contenuti brevi, poco adatti all'approfondimento; così, alcuni iniziano cercando conforto e, senza quasi accorgersene, si ritrovano immersi in teorie scismatiche, crociate digitali contro papi, concili e modernità. Il sedevacantismo, una volta relegato a circoli di fanatici da sacrestia, oggi prolifera in pagine ben curate, video ben montati, follower ben addestrati. Il Vangelo è un altro algoritmo, ma dalle infinite variabili. Uno strano algoritmo che non rafforza le certezze, ma le smonta. Che non ci mostra ciò che vogliamo vedere, ma ciò che spesso vogliamo evitare: il volto dell’altro, la scomodità della misericordia, il prezzo della giustizia. Gesù non crea bolle. Le rompe. Entra nelle case sbagliate, parla con i nemici, ascolta i peccatori. Non cerca “target”: cerca cuori. E non predica a chi è già convinto, ma a chi ancora cerca. Il Dio della Bibbia è quello che ti dice: “Va’, esci dalla tua terra”. È quello che non si lascia addomesticare da nessuna macchina, da nessuna ideologia, da nessuna identità digitale. È quello che spiazza. Allora forse il primo gesto spirituale, oggi, è disattivare le notifiche. È cercare voci che ci contraddicono. È leggere chi non la pensa come noi, ascoltare chi ha un’altra storia, un altro dolore, un’altra visione. La fede non ha paura del confronto. Anzi: lo desidera. Perché chi cerca Dio sa che può rivelarsi ovunque. persino nello sguardo di chi ci sfida, ci spiazza, ci smonta.

di Francesco Lipari





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