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LA CHIESA IN TRANSIZIONE TRA MONDO ANTICO E PRESENTE

Parola chiave del nostro tempo è “transizione”, usata per un’ampia pluralità di significati, ma che mantiene nei vari ambiti il valore semantico originario di “passaggio” da una condizione a un’altra, di trasformazione, di cambiamento non concluso e ancora in divenire. Oggi, in particolare, viviamo una transizione antropologica, un forte cambiamento della visione dell’uomo nella sua essenza e nelle sue relazioni con gli altri, un vero e proprio “cambiamento di paradigma”, un forte distacco dalle normali categorie e principi usati fino a pochi anni fa con cui si cercava di interpretare il mondo. È una fase di transizione culturale, quella che stiamo attraversando, quindi, in cui sono sempre più numerose le “anomalie” rispetto alle coordinate mediante le quali abbiamo interpretato la realtà per secoli. Tali novità hanno, da un lato, messo in crisi i paradigmi di riferimento, ma, dall’altro, non sempre fanno intravedere nuovi modelli spendibili per cercare di leggere la realtà. Tale processo di profonda trasformazione dovrebbe indurre anche la Chiesa a interrogarsi riguardo alla collocazione del popolo di Dio in un mondo che è sempre più plurale culturalmente e in cui i cristiani diventano sempre più minoranza, “piccolo gregge”, un mondo plurale in cui i cristiani devono confrontarsi, a partire dalla quotidianità, con credenti e non credenti, con persone di disparate provenienze religiose, geografiche e culturali. È un contesto plurale il nostro che presenta singolari analogie con quello in cui fu scritta la “Lettera a Diogneto”, in cui l’anonimo apologeta cristiano, tra fine II e inizi III sec., rispondendo al pagano Diogneto su domande relative ai cristiani e alla loro fede, si confronta e cerca di dialogare con il politeismo tradizionale, con il giudaismo e con la tradizione filosofica del mondo ellenistico-romano. Anche quello era un mondo in transizione in cui i cristiani, come afferma l’autore della “A Diogneto”, non si distinguono dagli altri uomini “né per regione, né per voce, né per costumi, […] non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale”. Insomma, i cristiani della “A Diogneto” non frappongono barriere identitarie, oggi diremmo, per difendersi dalle altre fedi, ricorrendo ad elementi visibili che li distinguano dagli altri e “abitano nel mondo, ma non sono del mondo”, vivono in modo attivo il loro tempo, ma non si fanno travolgere dalle logiche secolari. In conclusione, secondo un processo avviatosi ai tempi del Concilio Vaticano II e acceleratosi nel pontificato di Francesco, la Chiesa, soprattutto in Europa, si avvia verso una condizione di minoranza. Come affrontare questa transizione? La “Lettera a Diogneto” sembra davvero proporci un nuovo modo di essere cristiani, simile a quello delle comunità delle origini, che non ha bisogno di barriere per difendersi dall’altro da sé e che non ha paura dell’altro, e un cristianesimo in dialogo con altri credi nella vita di ogni giorno, all’interno di una società multiculturale e multietnica anch’essa in transizione.

di Alessandro Di Bella



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