La debolezza dell’opinione pubblica dei cattolici
- taborsettepuntozer
- 28 set
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Uno dei nodi più delicati che caratterizzano la vita della Chiesa cattolica è la fragilità della sua opinione pubblica interna. Nonostante il Concilio Vaticano II abbia ribadito l’importanza della corresponsabilità di tutti i fedeli nella missione ecclesiale, nelle parrocchie e nei contesti di vita comunitaria, spesso si osserva soltanto una modesta propensione al dibattito libero e aperto. Basti guardare alle parrocchie, alle comunità dei cosiddetti cattolici “della domenica”, coloro che partecipano regolarmente alla Messa e animano la vita pastorale: il dibattito critico è quasi assente, come se la fede potesse vivere senza il confronto delle idee.
Non mancano le occasioni di ritrovo: consigli pastorali, gruppi di catechesi, momenti formativi, ultimamente il percorso sinodale. Non sempre però questi spazi diventano luoghi di confronto autentico. Prevale piuttosto un atteggiamento molto prudente, se non addirittura timoroso: meglio non sollevare questioni, meglio non mettere in discussione decisioni o linee guida, per paura che emerga il conflitto. Il risultato è una concordia apparente che non nasce dalla comunione, ma dal silenzio.
Questa dinamica ha conseguenze profonde: la clericalizzazione di buona parte dell’opinione pubblica. In assenza di un dibattito tra fedeli, l’unica voce che sembra avere un valore riconosciuto è quella dei sacerdoti o dei responsabili pastorali: ciò che proviene dal clero si impone come pensiero unico, mentre ogni forma di dissenso o critica viene etichettata come segno di disobbedienza o, a volte peggio, di devianza. Si crea così un clima in cui la diversità di vedute non è accolta come una ricchezza, ma, il più delle volte, respinta come una minaccia.
Il problema non è soltanto di metodo, ma di sostanza. Se il popolo di Dio non si esprime, la comunità s’impoverisce. Una Chiesa che non ascolta le sue voci interne rischia di diventare autoreferenziale, incapace di leggere i segni dei tempi, di parlare al mondo in modo profetico e di affrontare le sfide che la storia le pone davanti: non può diventare una “Chiesa in uscita”. Sarebbero tante le questioni urgenti su cui sensibilizzare l’opinione pubblica dei cristiani: le guerre e la costruzione della pace, il disagio giovanile, le migrazioni dei popoli, i cambiamenti climatici e la custodia del creato, l’impegno politico e innumerevoli altre ancora.
Certamente diversi passi avanti sono stati compiuti rispetto al passato preconciliare; tuttavia, occorre essere consapevoli del fatto che l’assenza di dibattito interno non significa affatto unità. In realtà, una comunità che non sa discutere è condannata ad un consenso forzato che prima o poi si incrina. La comunione, invece, nasce dalla capacità di attraversare il confronto, anche il conflitto, con maturità e rispetto delle posizioni di tutti, accettando che le differenze non la distruggono, ma, al contrario, la costruiscono.
Tutto il popolo di Dio, in forza della comune dignità del Battesimo, ha il diritto e il dovere di esprimersi su questioni pastorali, etiche, di attualità. Solo così l’opinione pubblica ecclesiale potrà diventare matura e corresponsabile della missione della Chiesa, anziché restare un terreno fragile, facilmente esposto al rischio della marginalizzazione, dell’irrilevanza e del silenzio.
Papa Leone così ha detto ai cristiani di Roma nell’assemblea del 19 settembre: “Nelle parrocchie c’è bisogno di formazione e, laddove non ci fossero, sarebbe importante inserire percorsi biblici e liturgici, senza tralasciare le questioni che intercettano le passioni delle nuove generazioni ma che interessano tutti noi: la giustizia sociale, la pace, il complesso fenomeno migratorio, la cura del creato, il buon esercizio della cittadinanza, il rispetto nella vita di coppia, la sofferenza mentale e le dipendenze, e tante altre sfide”. Accogliamo questo appello.

di Alessandro Di Bella
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