Don Lorenzo Milani. La lezione di un profeta scomodo
Il 26 maggio p. v. ricorrerà il primo centenario della nascita di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana (FI), e l’occasione è buona per riflettere sulla portata di questa figura di sacerdote e di uomo fuori dagli schemi e poco incline all’obbedienza. Che sia stato un “disobbediente” è un fatto comprovato da molte testimonianze: con i genitori, quando decise di intraprendere gli studi all’Accademia delle Belle Arti o quando comunicò la sua decisione di farsi sacerdote; con la gerarchia ecclesiastica, quando denunciò la disumanità della ricostruzione economica e l’indifferenza della Chiesa di fronte alla sofferenza dei più poveri o quando, in nome della libertà di coscienza, difese la posizione degli obiettori nella Lettera ai cappellani militari. L’obbedienza non è da considerare più una virtù, secondo don Milani (“L’obbedienza non è più una virtù”), nel momento in cui collide con la coscienza: anzi, essa può essere “la più subdola delle tentazioni”, un alibi di cui farsi scudo. Al tempo degli studi al Liceo e in seminario Lorenzo si distingueva per coerenza, spirito di libertà, sincerità e coerenza. Ciò lo portò spesso ad attaccare, anche in modo violento, atteggiamenti o pratiche ipocrite e questo lo rese indisponente ed insopportabile agli occhi dei superiori e di alcuni compagni di studio.
Era, però, rigorosissimo nell’osservare le regole (impediva a chiunque di entrare nella sua cella in orario non consentito, per esempio) perché, diceva, “se si ubbidisce nelle cose piccine,…avrà più efficacia il nostro disubbidire nelle cose grosse, quando può essere un dovere disubbidire”. La sua obbedienza radicale e coerente era rivolta, invece, alla Parola, a quel Vangelo che sentiva tradito da gran parte della Chiesa e della società negli anni del boom economico, illuse dal mito del benessere e della ricostruzione, che lasciava indietro i più deboli. In questo senso, la sua voce non è isolata, ma richiama quella di altri “folli di Dio” (M. Lancisi): Giorgio La Pira, padre David Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci e tanti altri che si battevano per una Chiesa più aderente alla lezione del Vangelo e che pagarono salato il prezzo della loro coerenza.
Don Lorenzo “paga” con l’esilio (definizione di padre Balducci) a Barbiana, dove prende con sé e su di sé i ragazzi “scartati” dalla società e dalla scuola e ne fa degli uomini: li riscatta dalla loro condizione di miseria, ne risveglia l’ansia di sapere, li ama (“ho voluto più bene a voi che a Dio…”, scrive nel suo Testamento), profeticamente li guida alla scoperta del loro domani, condivide con loro anche la fragilità dela malattia e li prepara al momento più difficile, quello del distacco. Tanti sono gli spunti di riflessione che l’opera di don Lorenzo Milani ci offre, al di là del credo religioso, non solo per la pratica formativa ma anche per la sua visione di una società (utopistica?) fondata su valori di accoglienza, inclusione, condivisione, impegno. di Oriana Scampitelli
.
Comments