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La Rubrica -In cerca di senso

Viviamo in un’epoca che ha anestetizzato la fame di senso con il rumore. Un rumore continuo, instancabile, fatto di pubblicità, opinioni, contenuti da consumare e dimenticare. Il sacro non è morto perché Dio è morto: è morto perché il marketing ha preso il suo posto. Oggi il sacro non ha più cittadinanza. La società dei consumi ha frantumato i legami collettivi e dissolto il concetto di comunità, sostituendola con un’individualità esasperata, tutta centrata su sé stessa, sul proprio benessere, sul proprio racconto. Come ha osservato Zygmunt Bauman, viviamo in una modernità “liquida”, dove tutto si consuma e si dissolve rapidamente, compresi i legami umani. E secondo Byung-Chul Han, quella che chiamiamo libertà è spesso una forma di autosfruttamento: una spinta continua all’esposizione, che sacrifica intimità, pudore e fiducia. Una riflessione sul loro pensiero può aiutarci a interrogare il nostro presente.

Con queste righe inizia una collaborazione col foglio parrocchiale. Questo è il primo passo di un cammino che si affaccerà con regolarità.

Il punto di partenza è una domanda che fa paura, che molti evitano persino di pronunciare:
che senso ha vivere? Esiste ancora qualcosa – o qualcuno – che ci trascende? E se sì, dove possiamo cercarlo?

Inizieremo il nostro cammino dalla storia dell'uomo in cerca di senso, per arrivare poi al ruolo dell'arte nella ricerca del trascendente. Un linguaggio simbolico che – forse meglio di mille dissertazioni – sa sfiorare ciò che non ha nome.

Non parleremo dell’arte da copertina o del mercato, ma di quella che resta ai margini del rumore. L’arte che cerca, inciampa e interroga il mistero; l’arte come gesto umano che non si accontenta della superficie e si ostina a scavare. Vedremo una società che ha trasfigurato l’Assoluto nel dio denaro, affidandosi alle sue certezze esteriori, materiali, misurabili. Esploreremo come il consumo abbia ridotto l’interiorità a un lusso, e lo spirito a un disturbo. Vogliamo coinvolgere anche chi non crede, ma avverte che certe domande non si cancellano con una semplice presa di distanza. Anzi, spesso sono proprio i non credenti – liberi da dottrine e strutture – a custodire con maggiore onestà l’inquietudine, la sete, l’attesa.

Penso a cantautori come Fabrizio De André, a scrittori come Pier Paolo Pasolini. E, restando in ambito musicale, a Francesco Guccini, che nella canzone Cirano scriveva:

“Venite gente vuota, facciamola finita,
Voi preti che vendete a tutti un’altra vita,
Se c’è, come voi dite, un Dio nell’infinito,
Guardatevi nel cuore, l’avete già tradito.

E voi materialisti, col vostro chiodo fisso,
Che Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso,
Le verità cercate per terra, da maiali…

Se c’è un luogo in cui valga ancora la pena cercare senso – senza consolazioni facili e senza cinismi – è proprio qui: tra chi non ha più risposte, ma continua a sentire la fame di qualcosa che lo superi”.

Da qui comincerà la mia scrittura.

Scrivo da “cercatore”, con una fame di senso che non si lascia spegnere. Non ho risposte né dottrine da offrire. Ho solo domande, ferite, parole incerte che cercano un varco.

Se c'è un Dio, si insinua negli spigoli taglienti della vita vera. Se c'è un Dio – in un modo che non comprendo – ha voluto che fosse proprio questa mia inquietudine a prendere forma e farsi parola. Magari per mettersi al servizio di un cammino che non pretende di convincere nessuno, ma si accontenta – con onestà e ostinazione – di cercare.

Queste sono – in ordine sparso – alcune delle prime tappe su cui possiamo iniziare a riflettere.
Altre, inattese, si faranno strada lungo il cammino: le riconosceremo e le accoglieremo strada facendo. A chi vorrà seguire questa rubrica, non promettiamo risposte, ma domande che vale la pena abitare. Intanto, grazie per l’opportunità.


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di Francesco Lipari

 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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