La sapienza del cuore: impegno del cristiano
Vivere la Quaresima nel segno di Cristo significa riflettere sul nostro comportamento, sui nostri atteggiamenti, scrutare le contraddizioni dell’animo, valutare l’autenticità della nostra adesione alla Parola. A volte mi capita, tuttavia, di prendere le distanze dal buio profondo dell’animo e di andare alla ricerca della Luce negli altri, nell’altro. Non penso sia incapacità o paura di stare da sola con me stessa; anche senza volerlo, “il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51, 5); non è uno sfuggire il dolore, la sofferenza, perché andare incontro agli altri significa condividere. E’ piuttosto il tentativo di riempire il vuoto della solitudine nella condivisione e di ri-trovare in essa la Luce, ogni volta nuova, in quanto espressione multiforme dell’umana fragilità. Riesco così a schivare il pericolo di essere intransigente con me stessa e a non cadere nell’errore di credermi a un passo dalla perfezione; riesco ad analizzare le situazioni di vita da punti di vista diversi e ad accettare che quel che posseggo non è mio.
Il cristiano non può dirsi tale sulla base di un esclusivo rapporto tra lui e Dio, ciò che lo rende cristiano è il suo relazionarsi con gli altri, è la volontà di aprirsi al diverso da sé per comprendere e scegliere da che parte stare. Siamo volenterosi ricercatori di ciò che è bene, costantemente distratti da ciò che è male, in un continuo lavorio interiore per il raggiungimento della “sapienza del cuore”.
Ciò che turbò la filosofa Hanna Arendt durante il processo svoltosi a Gerusalemme nel 1961 contro Adolf Eichmann, il gerarca nazista e principale artefice della Shoah, fu la “normalità” dell’imputato, il suo presentarsi non come mostro, ma come persona normale, intelligente. Pur avendo sterminato milioni di ebrei, si dichiarò responsabile di aver eseguito soltanto degli ordini, come qualunque altro soldato in guerra, e affermò di essere condannato per colpe altrui; aveva semplicemente rispettato le leggi del suo paese. Per la Arendt, Eichmann rappresenta “l’individuo senza qualità” forgiato dal regime, privo di pensiero individuale, anzi, senza la capacità critica di pensare, di scegliere tra bene e male; egli è l’esemplificazione del male, come fenomeno che non è mai “radicale”, perché non possiede profondità e dimensione, e tuttavia può propagarsi e distruggere tutto; il male sfida il pensiero, che cerca di individuare le radici di esso, ma non trova niente. E’ qui la sua banalità, nell’assenza di pensiero. Al cristiano non è dato di ignorare ciò che accade intorno a lui, di trincerarsi dietro l’indifferenza; attraverso il dialogo, il confronto, la riflessione condivisa e personale deve impegnarsi in un esercizio quotidiano, atto a conferire alla predisposizione al bene che egli porta in sé una struttura critica, la sola capace di correggere il male, che è sempre una scelta dell’uomo non ponderata, non sottoposta al vaglio della “sapienza del cuore”.
di Tinuccia Russo
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