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La vita: un gioco da ragazzi

“Vivere la vita è un gioco da ragazzi…” così canta Lucio Corsi nella sua ultima hit. Da questa semplice frase si potrebbe pensare che i giochi dei ragazzi siano semplici, così come vivere la vita. Guardando la realtà in questo momento storico, tuttavia, i giochi dei ragazzi non sono affatto semplici e di facile comprensione. Chi non è adolescente e/o non è a contatto con adolescenti si ritroverà ad essere completamente alienato da questo mondo fondamentalmente per due motivi: il primo è l’uso di un lessico intriso di inglesismi e locuzioni appartenenti a piattaforme social, che ben si allontanano dal nostro amato “Facebook” ormai considerato da “boomer” e il secondo motivo è l’oggetto dei discorsi affrontati, come l’elogio a piattaforme stile “Tinder”. In questo social si può apprezzare tramite un semplice “like” un/una ragazzo/a che si presenta sullo schermo come se fosse un prodotto della spesa da scegliere in base ad aspetto e pubblicizzazione della propria “etichetta”. Un comportamento ancora più inquietante si manifesta quando un adolescente gioca con lo smartphone ad una partita online e il suo avversario gli è seduto proprio accanto, entrambi completamente privi di ogni interazione tra di loro. Il distanziamento e l’appiattimento sembrano i termini che più si addicono a questo nuovo gruppo di adolescenti, ben visibili, ad esempio, nella serie Netflix che sta spopolando tra gli utenti dal titolo “Adolescence”: quattro episodi che trattano di un omicidio da parte di un tredicenne di nome Jamie. Il distanziamento può essere evidenziato nei due grandi gruppi di protagonisti: i compagni di scuola di Jamie e i genitori dello stesso. L’atteggiamento distaccato dei compagni è facilmente riconoscibile nel comportamento omertoso nei confronti dell’omicidio di una coetanea, restii a fornire qualsiasi aiuto per il proseguimento dell’indagine. Continuando la visione della serie ho notato un altro tipo di distanziamento, ovvero il distacco verso ciò che riguarda il bullismo o il cyberbullismo dei propri compagni, privilegiando un atteggiamento da spettatore passivo.

Il distanziamento genitoriale, invece, è ancora più sottile. All’inizio la famiglia ci appare visibilmente preoccupata e incredula per l’arresto del proprio figlio tredicenne e cerca ossessivamente spiegazioni. Il padre rimane, poi, spiazzato dalla visione di un filmato che in maniera inequivocabile mostra la violenta aggressione di Jamie nei confronti della sua compagna. È qui che il padre palesa in maniera intima e silente i suoi dubbi, non solo nei confronti del figlio ma anche e soprattutto verso il suo ruolo genitoriale. Il padre viene presentato come il classico genitore presente e affidabile, rappresentante, se volessimo usare un’ espressione tipica di Bowlby, una “base sicura” per il figlio, tant’è che sarà il suo punto di riferimento,per tutta la durata della serie, nel disbrigo delle pratiche giudiziarie in cui Jamie è coinvolto. Sarà lui ad interrogarsi maggiormente su cosa abbia sbagliato nell’educazione del ragazzo ed effettivamente da un primo sguardo superficiale non possiamo che simpatizzare con tale figura. Facendo, però, un’analisi più critica e profonda noteremo un atteggiamento passivo-aggressivo del ragazzo (manifestato nel bellissimo episodio del colloquio con la psicologa) insito di luoghi comuni, espressioni e atteggiamenti tipicamente patriarcali. Risulta inevitabile la riflessione sul cosiddetto “modello” genitoriale o, usando il lessico tecnico di Bandura, “modellamento” genitoriale. L’apprendimento per imitazione delle persone a noi più prossime è sempre stato un elemento di adattamento della nostra specie e questo vale anche per gli apprendimenti dei comportamenti in contesti sociali. I genitori rappresentano il nostro modello, ne adottiamo i gesti, le espressioni, i modi di pensare e la loro vicinanza ci è di conforto. Da adolescenti, poi, ricerchiamo una guida che rappresenti sempre un porto sicuro nel mare di dubbi e difficoltà che questa età comporta. Spesso questo porto, però, non è sempre nella stessa posizione, probabilmente nella ricerca smodata della base in cui attraccare, il ragazzo, troverà ostacoli e difficoltà. A volte non esiste sulla mappa un porto vicino e si deve attingere a tutto il problem solving che si possiede per poter domare la nave nella tempesta che sta arrivando. L’esempio vuole solamente essere un modo semplice e immediato per comprendere l’importanza del ruolo genitoriale, esso è la chiave per poter direzionare, influenzare e, a volte, denunciare i comportamenti dei nostri marinai e ora che anch’io sto per diventare madre si fa ogni giorno più forte in me questa consapevolezza.


di Antonella Miano, psicologa



 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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