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Le comunità cristiane nell’epoca del cambio d’epoca

Eccoci nel bel mezzo dell’estate! In questa stagione per antonomasia dedicata alle ferie, al riposo, a ritmi meno frenetici, intorno a noi il mondo sembra non arrestarsi: la guerra, anzi, le guerre che insanguinano terre vicine e lontane, la pandemia che non demorde, la crisi energetica, la siccità e, come se non bastasse, adesso una crisi politica e una campagna elettorale.

In questo clima rovente che sì ci circonda ma che, forse, ci scalfisce poco o nulla, la Chiesa Italiana si avvia per il secondo anno a proseguire il cammino sinodale guardando al futuro delle nostre comunità cristiane. Diverse Diocesi, in queste settimane, hanno divulgato una relazione, una fotografia, a seguito del lavoro svolto dalle varie Chiese locali, in questo primo anno di lavori del Sinodo. E’ quasi una costante, da nord a sud, il constatare come, pur non mancando i segni di speranza e d’intraprendenza, la vita delle parrocchie abbia subito un brusco rallentamento, si è assottigliato il numero di presenze alle celebrazioni domenicali, coloro che solitamente chiamiamo gli operatori pastorali invecchiano e manca un ricambio generazionale, intere fasce della popolazione - soprattutto tra i più giovani - non si riesce più ad intercettarli. In poche battute è come se la Parrocchia - Chiesa tra le case - abbia perso il suo “peso” e la sua rilevanza agli occhi delle donne e degli uomini che vivono e abitano un determinato territorio. In tutto questo si trovano immersi i sacerdoti, coloro che presiedono e accompagnano le comunità cristiana e che, in questo cambio d’epoca, nonostante gli sforzi profusi, vivono spesso la condizione di Simon Pietro e di Andrea nel racconto evangelico: rimanere con le reti vuote, dopo aver pescato tutta la notte.

“E’ certo che l’epoca costantiniana sta tramontando e non solo per la Chiesa, ma anche per il singolo sacerdote. La sua missione non gli viene più affidata da un piccolo Stato confessionale, egli non è più il papa nel suo villaggio né fa più parte con la ovvietà di un tempo dei notabili: scompaiono insomma privilegi e prestigio sociale. Un po’ alla volta gli rimane soltanto la sua essenza più autentica: essere l’uomo di Dio, l’homo religiosus, colui che crede, spera e ama.”: così in un passaggio di un suo scritto del 1968 il gesuita Karl Rahner, delineava, quasi profeticamente, il contesto in cui si sarebbero ritrovati nel futuro la Chiesa e ministri ordinati: è il nostro oggi.

Non sono molte le alternative che abbiamo di fronte: o proseguire dritti sulla strada di sempre, fin tanto che qualcuno ci seguirà oppure cogliere l’opportunità di fare di questo tempo un vero e proprio “kairos”, un tempo propizio e opportuno in cui - parafrasando ancora Rahner - parlando sottovoce, senza pensare di illuminare con le parole l’oscurità che grava sulla vita di ogni fratello e sorella ma, piuttosto, facendosene carico, si lascerà a Dio, Lui che è Misericordia infinita, di “vincere” lì dove a chiunque sembrerà invece di essere stato sconfitto.

Si potrà allora dare ancora testimonianza credibile e autentifica dell’appartenenza a Cristo? Certo che sì, e lo si riuscirà a fare se vivendo nel quotidiano e immersi nella realtà complessa e carica di tensioni che ci ritroviamo, si possederà sempre di più è sempre meglio “il coraggio di esperire la grazia, della solitudine del cuore, della fedeltà, della coscienza che non cerca ricompense, il coraggio di amare quel che è più lontano come se fosse il più vicino”. Se ciò vale e varrà per i sacerdoti, come suggerisce Karl Rahner, mi permetto di dire, allargando le prospettive, che altrettanto vero sarà per ogni singolo credente che sente nel profondo del suo cuore la chiamata alla sequela del Signore, nei diversi modi e attraverso i molteplici carismi.


di Gabriele Panarello


 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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