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Le Esperienze Pastorali di don Milani Da un progetto pastorale ad un modello formativo

Il libro è uno studio sistematico del territorio in cui don Milani esercitò la sua attività pastorale dall’ottobre 1947 al dicembre 1954: San Donato a Calenzano, un paesino collocato lungo la via romana che collegava Firenze a Pistoia. In questo testo don Lorenzo, nominato cappellano della parrocchia, in supporto all’anziano Proposto, don Daniele Pugi, cerca di capire e conoscere l’ambiente e le persone osserva e riporta dati sulla vita, annota osservazioni sulla cultura e sull’economia di un territorio a vocazione agricola che, con lo sviluppo industriale del dopoguerra, aveva registrato un trasferimento massiccio di minorenni, a Prato e a Sesto Fiorentino, per trovare impiego soprattutto nell’industria tessile: è lo specchio di una situazione economica e sociale in cambiamento e che segna l’abbandono dei vecchi schemi, con la conseguente perdita dei valori antichi: “segni dei tempi”, li chiama don Lorenzo. Questa certosina opera di osservazione e annotazione (servendosi anche di grafici e schemi molto precisi) dà origine ad un’attività pastorale fuori dall’ordinario, causa di malumori da parte di alcune gerarchie ecclesiastiche e di amarezze per lui. Si preoccupa, per esempio, di considerare l’atteggiamento dei fedeli in chiesa, notando una differenza tra la prima Messa e quella delle 11: più frequentata e partecipata la prima; molto meno la seconda; anzi, don Lorenzo precisa che a questa l’atteggiamento “ha tutto l’aspetto di un’indifferenza pubblicamente ostentata” e che la soluzione non può essere l’obbligo perché “La Messa e i Sacramenti sono doni di Dio”. Don Lorenzo deve constatare il fallimento del catechismo tradizionale, perché non ci si era preoccupati della reale formazione cristiana né di garantire una reale inclusione dei più deboli, ma solo dell’ indottrinamento e solo per alcune fasce della popolazione. Constata anche il fallimento del modello economico della ricostruzione post bellica, che non favoriva il riscatto sociale dei cittadini più poveri, anzi ne decretava la marginalizzazione. Sono gli anni di Giorgio La Pira, padre Turoldo, padre Balducci, don Giulio Facibeni (compagno di Lorenzo negli anni del seminario), per citare solo alcuni di quelli che Mario Lancisi ha definito “i folli di Dio”, che denunciano l’incoerenza della Chiesa nei confronti degli ultimi: operai e contadini, condannati a pagare il costo del “boom economico”. A San Donato, dunque, approda alla sua intuizione “pedagogica”, che rappresenta la radice della scuola di Barbiana: aprire la scuola anche ai lontani (compresi socialisti e comunisti) e prefiggersi la formazione, prima, di uomini “capaci di affrontare vittoriosamente la lotta sociale”, poi di cristiani. La scuola, si legge nelle Esperienze, “risveglia dal fondo dell’anima quella naturale sete di sapere che è seppellita negli infelici e che è la premessa necessaria per il ritorno alla fede…la scuola è …ininterrotto comunicare pensiero”. e il pensiero si può comunicare solo attraverso la parola…la Parola. Ecco il punto di congiunzione tra l’attività pastorale e quella pedagogica: la formazione alla parola è presupposto necessario per approdare alla conoscenza consapevole della Parola e all’acquisizione della libertà. Così don Lorenzo inizia la scuola popolare nei locali del catechismo: una scuola aperta a tutti, ininterrotta (anche la domenica), che offre conferenze sui più svariati argomenti (“Il venerdì era riservato ogni settimana a una conferenza di un estraneo”…e sui “più svariati argomenti: scienziati, letterati, artisti…”). Un successo, tanto che dopo sei anni, si considerano “furbi quelli che lasciano il gioco per la scuola e non viceversa”. Un progetto innovativo, perchè don Milani non offre ai giovani il catechismo tradizionale (o dottrina, come si diceva allora), ma pensa, piuttosto, a “non dire stupidaggini” e “a edificare “ sé stesso, ad “avere…un pensiero impregnato di religione” per poterlo riversare nel comportamento: una catechesi “pratica”, insomma. Infine, don Milani dimostra come per fare scuola il maestro non debba solo preoccuparsi di fare, ma soprattutto di essere, “bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore…più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”. Questi spunti saranno ripresi e sviluppati a Barbiana, ultima tappa del suo percorso umano e pastorale. La lettura di questo libro, come della “Lettera a una professoressa” ci suggeriscono una riflessione sul ruolo svolto da don Lorenzo nello sviluppo della cultura del nostro Paese; la sua “riabilitazione” da parte della chiesa dovrebbe spingere ad un approfondimento di questa figura in apparenza irriverente, in realtà profondamente ancorata al vangelo.


di Oriana Scampitelli

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