“Lettera a una professoressa” ovvero la scuola dei “ragazzi persi”.
Dopo San Donato a Calenzano, l’attività pastorale e pedagogica di don Lorenzo Milani prosegue a Barbiana, a partire dal 1954 e di questo periodo finale della sua vita è testimonianza il secondo libro, “Lettera a una professoressa”: non direttamente scritta dal priore, ma dai suoi alunni, che denunciano una scuola dell’obbligo che non garantisce il diritto ad essere eguali, ma “fa parti uguali tra disuguali”. Per comprendere le ragioni ed il senso di questo scritto, occorre ricostruire il contesto in cui nasce. Nel 1954 la situazione a San Donato per don Lorenzo era diventata incandescente, a causa di tensioni provocate da alcune sue iniziative a favore dei giovani della scuola popolare e arrivate ad un punto di non ritorno a seguito del funerale di un operaio comunista: in quella circostanza, don Milani non intervenne (per non “far polemica in Chiesa”) quando i compagni di partito del defunto sventolarono la bandiera comunista sul feretro. Fu la goccia che fece traboccare il vaso e la Curia di Firenze decise il suo allontanamento. Dove inviare un prete così scomodo per evitare che facesse ulteriore danno? Quale parrocchia si poteva dire adatta a lui, dove non potesse tenere contatti con nessuno? La scelta cadde sull’Alto Mugello e, in particolre, su un gruppo sparuto di case dislocate intorno al piccolo Cimitero di S. Andrea, nel territorio del Comune di Vicchio (Fi): Barbiana. Pur tra le molteplici difficoltà ed angustie e nonostante il senso di abbandono provato nell’essere confinato lassù, don Lorenzo fece nascere una scuola dal nulla, raccogliendo dai campi i figli dei montanari che abitavano lì con la prospettiva di un riscatto sociale: furono proprio i ragazzi a salvare Barbiana dall’abbandono. In questo contesto nacque la “Lettera a una professoressa”, data alle stampe nel maggio 1967, circa un mese prima della morte di don Lorenzo. In apertura del libro si legge che si tratta di un libro “inteso per i genitori dei ragazzi bocciati e vuol essere un invito a organizzarsi” per rivendicare la necessità di una promozione che superasse la distinzione sociale: da un lato, i Pierino, i ragazzi integrati e che sono inseriti in un contesto culturale omogeneo,tra scuola e famiglia, riescono brillantemente e sono destinati ad una brillante carriera; dall’altro lato,i Gianni, i bocciati e i reietti che hanno una cultura non corrispondente agli schemi della scuola ufficiale. Dalla parte di questi “scartati” si pose il priore di Barbiana, perché la lezione del Vangelo glielo gridava nella coscienza: il suo obiettivo era quello di dare agli ultimi, che erano rimasti (o erano stati lasciati) indietro nella corsa all’industrializzazione, lo strumento indispensabile per poter diventare protagonisti della storia: la parola. Don Lorenzo ribaltò la visione della cultura elitaria, riflesso di una società competitiva e chiusa alle esigenze dei più deboli: “il sapere serve solo per darlo”, si legge. In questo passaggio è racchiuso il senso dell’azione pedagogica milaniana e il suo significato sociale: la condivisione del sapere è chiave per la promozione sociale e, dunque, per la fondazione di una società più equa (…”è solo la lingua che fa eguali…Che sia ricco o povero importa meno”). La particolarità della composizione della Lettera è che gli autori erano gli alunni di Barbiana che, andati a sostenere gli esami nella scuola pubblica, ne erano usciti bocciati: il testo ha il sapore della contestazione di un sistema scolastico rigidamente selettivo e classista, dogmatico ed inflessibile, una scuola “nata male”, che “cura i sani e respinge i malati”. E gli alunni di don Lorenzo, educati a Vangelo e Costituzione, non potevano passare sotto silenzio l’ingiustizia di venire privati della loro dignità di uomini e di cittadini: dunque, tenendo a mente la lezione del maestro, che li voleva cittadini consapevoli e repsonsabili, si documentarono e scrissero questo atto d’accusa della scuola ufficiale, avanzando anche tre concrete proposte per il miglioramento della scuola dell’obbligo: non bocciare, dare il tempo pieno, dare un fine. La scuola di Barbiana sollecitò l’attenzione e la curiosità di molti educatori: essa non solo era più ancorata alla realtà rispetto alla scuola ufficiale, ma diverso era anche il rapporto tra il maestro e gli alunni, un rapporto di reciproco dono e di fiducia, impegnativo e severo, finalizzato al miglioramento della società. “La scuola - si legge nella Lettera- è l’unica differenza che c’è tra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti”.
di Oriana Scampitelli
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