Madri per sempre
Tre donne, tre madri protagoniste di vicende che per qualche giorno, all’inizio del mese di novembre hanno provocato l’opinione pubblica, distogliendola dalle cifre dei bollettini Covid. Tre donne che hanno perso il proprio figlio in circostanze e per motivi diversi; la ricostruzione di questi fatti di cronaca ha sollecitato la ricerca di una spiegazione, volta a placare, forse, i sentimenti di dispiacere e, insieme, di indignazione suscitati in noi. Non c’è tuttavia un motivo per cui due genitori siano costretti a gettare il proprio figlio di quattro mesi nel cassonetto dei rifiuti; non c’è ragione che tenga di fronte alla decisione di lanciare dal balcone un neonato, appena partorito da una diciassettenne nel bagno della propria abitazione; non c’è ideologia politica che, adducendo cause e responsabilità, possa farci accettare la morte di Yusuf, bimbo di sei mesi, in mare, nell’ennesimo naufragio. Posti di fronte a queste realtà, sperimentiamo la nostra impotenza, ma non possiamo cedere alla rassegnazione, soprattutto quando si tratta di difendere il diritto alla vita. È necessario che ognuno di noi, in relazione al proprio ruolo, si assuma la responsabilità morale di fatti come quelli accaduti qualche settimana fa, semplicemente nella speranza che non si ripetano. Un’espressione dialettale, pregna di significato, è stata sempre messa in relazione con i sacrifici che i genitori devono affrontare per far sì che il proprio figlio cresca in salute e acquisisca l’autonomia necessaria per diventare parte integrante della società, “pi’ vèniri o’ ghianu”. “U ghianu” è metafora del consorzio umano che accoglie, educa, difende, è il luogo in cui il singolo vive responsabilmente il suo ruolo in vista del bene comune.
Il 7 e l’11 novembre 2020 tutti noi abbiamo perso due figli (il “Caso” ha voluto che il bimbo abbandonato sia stato salvato e adottato). Tre donne, tre madri per sempre, anche senza i loro figli. Sbarazzarsi di un corpicino o perdere un figlio, infatti, non comporta la cessazione dello stato di maternità. Dal parto vengono alla luce due nuove vite, la seconda delle quali è quella della madre, che porterà per sempre dentro di sé, non solo a livello fisiologico, il segno indelebile dell’interazione con il figlio che l’ha abitata per nove mesi. Nessuno, dopo aver visto le immagini, potrà dimenticare il corpo di Anja percorso sul gommone dagli spasmi per il dolore della perdita di Youssef e il suo grido disperato: “I lose my baby”.
Tre donne, tre madri per sempre, nel dolore; come Maria, madre per sempre a Betlemme e madre nel dolore sul Golgota, ai piedi della Croce.
di Tinuccia Russo
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