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Messaggi e massaggi dei media

La nostra quotidianità fatta di incontri interpersonali e di relazioni (reali e virtuali) è inevitabilmente fondata sull’uso di molteplici linguaggi - verbali e non verbali - che assimiliamo, decodifichiamo e, volenti o nolenti, facciamo nostri. Non è scoperta recente, risalente a pochi giorni fa, quella che porta a considerare come rivoluzionario l’influsso che sulla collettività e su ciascuno di noi ha avuto sin dall’inizio la televisione e con lei tutti i mezzi di comunicazione. Appunto: la nostra è una società di massa, eterodiretta! Certo in particolare negli ultimi trent’anni all’innovazione culturale già in atto, si è aggiunto indisturbato lo sdoganamento di termini, immagini, atteggiamenti, stili di vita, modi di gestire le vicende personali, familiari, economiche, sociali totalmente alternativi e a cui l’avvento dei social ha sostanzialmente contribuito. I benefici di tutto questo sono evidentemente molti, ma allo stesso tempo non pochi sono gli effetti collaterali: non ho le competenze per poter affermare che la società nella quale viviamo in cui l’esaltazione dell’Io, della propria immagine, dei propri interessi, dell’uomo (o donna) forte e spavaldo - e preferibilmente anche ricco e piacione - al comando vanno più che di moda, sia figlia esclusivamente dei messaggi e dei contenuti veicolati da Tv commerciali e social, ma dubito fortemente che questi non abbiano avuto il loro ruolo e alcuni recenti fatti di cronaca me ne danno un’ulteriore conferma! In mezzo a tutto questo la piccola comunità cristiana, parte immersa in questa stessa società, non può che cercare di essere “segno di contraddizione” - pur se con le sue fragilità e debolezze - facendo da un lato rete con tutte le realtà educative, sportive e culturali che agiscono sui territori e che non possono abdicare al loro ruolo formativo delle nuove generazioni e e dall’altro cercando di testimoniare con linguaggi alternativi ma allo stesso tempo comprensibili per tutti, con la vita e con i gesti più che con le parole che la felicità che ogni donna e uomo cerca e a cui è chiamato è qualcosa di molto profondo e non di effimero o mutevole che si realizza solo dando spazio alla propria interiorità - lì dove è davvero possibile ascoltare la voce di Dio - e nel rapporto donativo che di sé si può fare agli altri.

di Gabriele Panarello



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