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MONS. FASOLA A MESSINA E IL CONCILIO VATICANO II

“Duc in altum”, prendi il largo: questo, citando il Vangelo di Luca, è il motto di Mons. Francesco Fasola, Arcivescovo di Messina dal 1963 al 1977, il vescovo che ha vissuto direttamente e con sincera adesione il Concilio Vaticano II, “novella pentecoste”, che ne ha curato l’immediata attuazione nella nostra Arcidiocesi e che ne ha incarnato lo spirito più autentico per molti anni all’insegna dell’annuncio evangelizzatore e della missionarietà.

Mons. Fasola è stato precursore della “chiesa in uscita” che oggi auspica papa Francesco. Lo stesso “lavorare insieme” spesso rivolto ai sacerdoti e ai laici sembra richiamare proprio la dimensione sinodale che stiamo vivendo. Una personalità, quindi, che meriterebbe di essere conosciuta maggiormente, specialmente in tempi in cui il dinamismo del Concilio sembra affievolito.  

Attua l’ecclesiologia di comunione del Concilio: nel 1967 riforma i Vicariati e avvia i Consigli Vicariali, nel ‘69 istituisce il Consiglio Presbiterale, nel ‘72 istituisce il Consiglio Pastorale Diocesano. Negli anni successivi, insieme al vescovo coadiutore Mons. Ignazio Cannavò, insiste sulla costituzione del Consiglio Pastorale in tutte le parrocchie per “giungere ad una collaborazione che sia la manifestazione, anzi la realizzazione stessa, la quale è essenzialmente Comunione [...] già di per se stesse strumenti di evangelizzazione”, così afferma nel 1976.

Costante è la sua attenzione alla dimensione dell’annuncio: la catechesi, per Mons. Fasola, doveva essere rivolta a tutti, non solo ai bambini per accedere ai sacramenti; affettuosa la sua vicinanza alle associazioni laicali come l’Azione Cattolica o la San Vincenzo de’ Paoli.

“Fatti, non parole”. Mons. Fasola ha precorso i tempi impegnandosi “per una nuova evangelizzazione”, secondo il suo segretario Mons. Malgioglio: la mattina di Natale del ’68, celebra la Messa sulla soglia di una baracca di un pensionato del villaggio Villa Lina, in mezzo a una folla che viveva in situazioni di disagio economico e sociale; incoraggia di continuo sacerdoti, religiose e laici ad azioni di apostolato nelle periferie; numerosi sono gli appelli ai politici ed amministratori per impegnarsi nel risanamento delle aree degradate, come la lettera scritta nel ’70 ai consiglieri comunali messinesi; frequente è la sua attenzione al mondo del lavoro alle prese con i primi segni della deindustrializzazione, come quando celebra la Messa in mezzo agli operai in cassa integrazione della “Pirelli” di Villafranca Tirrena; nel ‘72 si reca dagli alluvionati a Fondachelli Fantina; nel ’74 nella frazione di San Filippo Superiore celebra i funerali di una bambina vittima di un alluvione; guida numerose azioni pastorali per i migranti, come nel ’66 a Torino ove visita circa 250 famiglie messinesi o nel ’68 in Germania ad Hannover.

Grande è l’attenzione per i sofferenti e gli ammalati: partecipa ai pellegrinaggi a Lourdes con l’UNITALSI; frequenti sono le visite, le telefonate, le lettere ai sacerdoti e a persone ammalate e sofferenti che si rivolgevano a lui come padre spirituale o le soste abituali in ospedali, case di cura, cliniche, case di riposo e nellebbrosario.

“Uomo di speranza” è il servo di Dio Mons. Francesco Fasola, come tanti altri sacerdoti da lui ordinati che esortava ad essere “uomini della speranza” per “proclamare il Vangelo anche nelle pagine scomode”, senza incertezze, senza se e senza ma, senza compromessi col mondo, in un impegno totale di solidarietà con gli uomini, affinché, secondo la “Gaudium et Spes”, “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” siano “pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo”.


 di Alessandro Di Bella



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