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Noi ne siamo testimoni

C’è solo un episodio nella vita degli apostoli che ha stravolto la loro esistenza al punto tale da non permettergli più di vivere come prima e come se nulla fosse accaduto. Questo evento si chiama Risurrezione! Di tutto il tempo passato con il Maestro di Nazareth, delle sue parole, dei suoi gesti prodigiosi nulla, in fin dei conti, aveva scombussolato il cuore di questi dodici uomini della Galilea quanto l’esperienza concreta di aver incontrato vivo quel Gesù che poco prima avevano visto morto ammazzato su una croce - e che per paura tutti loro, dopo Giuda, avevano abbandonato e rinnegato - e del sentirsi ancora, nonostante tutto, cercati da Lui e chiamati “amici”. “Di ciò noi siamo testimoni”: negli Atti degli Apostoli, quasi ogni giorno in questo tempo di Pasqua ascoltiamo i discepoli pronunciare pubblicamente e incarnare nel loro vissuto questa frase proprio in riferimento a quell’evento così grande e così dirompente.

Duemila anni dopo, resta per noi piccoli e pochi seguaci del Signore di oggi l’esigenza immutata di essere

Testimoni di questo evento in un mondo e in una società che, un po’ come a quel tempo, non conosce Cristo e non ha né il tempo né la voglia di fermarsi per sentir parlare di Lui.

Mentre constatiamo, giorno dopo giorno, l’inaridirsi delle forme classiche di trasmissione della fede in ogni ambito (un processo questo che la pandemia in corso non ha certo innescato ma che ha semplicemente velocizzato), da dove possiamo provare a ripartire? Dalla restaurazione di antichi riti? Dalla riproposizione priva del suo significato originario di tradizioni e devozioni secolari? Dal proliferare di permessi o divieti, di corsi intensivi di formazione e catechesi, di certificati o di idoneità per ricevere un sacramento?

Molto pacatamente, anche arricchito dall’esperienza di servizio che in questi mesi sto vivendo, credo che ciascuno di noi che desidera stare alla sequela di Gesù, come singolo battezzato che vive la sua quotidianità in famiglia, nel lavoro, nello sport, nella città, nel servizio al prossimo e come parte della Chiesa-comunità che vive tra le case degli uomini possa far diventare “attraente” il messaggio salvifico della fede ripensandosi e riscoprendosi, nella sua intimità personale prima e nell’esperienza della vita comunitaria dopo, lui per primo protagonista e testimone , pur se fragile, incostante, segnato dal male e dal dolore, dell’incontro singolare con una persona - il Cristo vivente - incontro tanto bello e sconvolgente per la propria vita da non poterlo tenere gelosamente solo per sé ma da dover condividere, attraverso gesti e parole, con chi gli sta intorno al punto tale da far emergere in questi l’interesse, la curiosità e, perché no, il desiderio di farne la medesima esperienza. Possa il Signore suscitare questi propositi nella sua Chiesa, confermandoli nel cuore e nella mente di tutti coloro che, consacrati e non, sono stati chiamati da operai a lavorare nella Sua Vigna.


di Gabriele Panarello

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