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Ombre e luci a trent’anni dalla strage di Capaci

Quest’anno ricorrono i trent’anni dalla strage mafiosa di Capaci del 23 maggio 1992 in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, gli agenti di polizia Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari. Ad essa seguì il 19 luglio la strage di Via D’Amelio a Palermo in cui furono trucidati Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Per chi, come me, nel 1992 era nell’età dell’adolescenza quelle stragi segnarono irrimediabilmente gli anni giovanili e molto presto quell’iniziale rabbia che ci travolse si trasformò in voglia di esserci e di fare.

Nella nostra Barcellona Pozzo di Gotto l’uccisione di Beppe Alfano (ultimo di ben 8 giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia, come qualche anno dopo raccontò in un libro Luciano Mirone) fu un’ulteriore spinta alla ribellione contro il fenomeno mafioso. Per alcuni di noi in particolare l’impegno politico e soprattutto l’attività giornalistica furono intese come le migliori forme di contrasto all’omertà e alla rassegnazione diffusa. L’uccisione sempre nel 1993 di Don Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio di Palermo fu l’ennesima dimostrazione per i giovani come me cresciuti nelle parrocchie o negli oratori del dovere assoluto di impegnarsi senza ulteriore indugio.

Furono anni di grandi spinte ideali, ma anche nel lungo periodo di grandi delusioni. Penso all’iniziale adesione acritica al movimento antimafia degli anni Novanta caratterizzato da una forte connotazione penale-giudiziaria e soprattutto da un linguaggio intriso di eroismo e continui riferimenti bellicisti. Un modello di antimafia che presupponeva una continua tensione morale, certamente adatta in anni in cui si registravano continui delitti e spargimenti di sangue, ma non consona alle fasi ordinarie in cui la mafia preferisce agire sottotraccia.

Con il passare degli anni accanto a uomini delle istituzioni e della società civile che spalleggiavano o erano pesantemente coinvolti con le organizzazioni mafiose (quel mondo di mezzo che è costitutivo delle mafie che altrimenti sarebbero semplici organizzazioni criminali) emersero personaggi celebrati come punte di diamante dell’antimafia e che dopo anni disvelarono il loro vero volto di affaristi, corrotti o corruttori. Tra le vicende più inquietanti sicuramente quelle dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo Silvana Sagunto e dell’ex vicepresidente nazionale di Confindustria Antonello Montante. In ambedue queste storie in modo iperbolico si sono manifestati tutti i rischi di un’antimafia che utilizzata da personaggi senza scrupoli può diventare strumento di acquisizione di potere e copertura istituzionale per la costituzione di veri e propri comitati affaristici. Segni indelebili nelle coscienze di tutti hanno lasciato le vicende davvero oscure attorno ai processi per la strage di Capaci e di via D’Amelio. Rimane la spiacevole certezza che ricostruzioni forzate e depistaggi di pezzi delle istituzioni possono minare dall’interno il sistema giudiziario e portare anche a sentenze totalmente infondate. Per fortuna sulla strage di Capaci ulteriori indagini e sentenze hanno riportato la verità giudiziaria nei giusti binari. Sui depistaggi e sui lati oscuri della strage di via D’Amelio rimangono accese le luci grazie al movimento delle “agende rosse” animato instancabilmente da Salvatore Borsellino, fratello minore del giudice trucidato.

Barcellona Pozzo di Gotto ha vissuto anch’essa momenti di forte partecipazione al movimento antimafia e momenti di stasi. Una fase molto interessante si è sviluppata tra il 2009 e il 2011, quando a seguito di piccole riunioni riservate prima dai padri carmelitani e poi ai salesiani un gruppo di imprenditrici e imprenditori hanno dato vita all’associazione antiracket e antiusura “Liberi tutti”. Il senso di questa associazioni, come di tante altre sparse per l’Italia, è fare fronte comune per difendersi dalle organizzazioni mafiose che praticano l’estorsione anche al fine di controllare il territorio. Il senso ultimo è evitare quell’isolamento fautore di storie drammatiche come quella di Libero Grassi, ucciso a Palermo il 29 agosto del 1991, perché non solo si era rifiutato di pagare il pizzo ma aveva pubblicamente denunciato e sfidato i suoi estorsori.

L’8 giugno prossimo alla presenza del Procuratore della Repubblica di Messina Maurizio De Lucia e del Procuratore della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto Emanuele Crescenti sarà annunciata la costituzione dell’Osservatorio permanente sulla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto frutto della collaborazione tra il Centro Studi sulle Mafie dell’Università di Messina (rappresentato dal prorettore Giovanni Moschella) e l’Associazione “Liberi tutti” di Barcellona (rappresentata da Sofia Capizzi). Coordinerà l’incontro Nuccio Anselmi della Gazzetta del Sud.

L’Osservatorio, che avrà sede proprio presso la sede di via Garibaldi di “Liberi tutti”, contribuirà alla conoscenza e all’analisi del fenomeno mafioso nel nostro territorio e sarà un luogo di riferimento per quanti studenti, ricercatori e operatori vorranno approfondire le questioni attinenti le organizzazioni mafiose e il movimento antimafioso nel territorio di Barcellona e del comprensorio.

A trent’anni dalla strage di Capaci, in un territorio in cui negli ultimi anni forze dell’ordine e magistratura con grande fermezza hanno contrastato con numerose inchieste e continui arresti l’organizzazione mafiosa, ci sembra ulteriormente segnale positivo la costituzione dell’Osservatorio come rinnovata volontà di cercare nuove strade per un contrasto anche culturale e sociale alla mafia.

di Tindaro Bellinvia

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