P. Tito Brandsma Un martire carmelitano a Dachau
P. Tito è un frate carmelitano Olandese, nato nel 188l. Entra fra i Carmelitani nel 1898, nel 1905 viene ordinato presbitero. Dal 1906 al 1909 studia filosofia all’Università Gregoriana di Roma ove consegue il dottorato e nello stesso tempo segue dei corsi di sociologia al Collegio Leoniano animati da monsignor Pottier.
Rientrato in Olanda insegna filosofia nello studentato carmelitano e, più tardi, nel 1923, quando a Nimega si dà vita all'Università Cattolica, viene invitato ad insegnare varie discipline di filosofia e storia della mistica, impegno mantenuto fino al momento dell’arresto da parte dei Nazisti. Come carmelitano si interessò fin da giovane alla diffusione, nell'ambito olandese, delle opere dei grandi maestri carmelitani e lavorò per la traduzione delle opere di santa Teresa in olandese.
Molteplici interessi e attività hanno visto P. Tito in prima fila in Olanda: le missioni, l'ecumenismo, i mistici medievali, la scuola cattolica, l’assistenza ai rifugiati e agli immigrati. Fra tutte le attività, oltre l’insegnamento, eccelle il giornalismo, che era per lui come una seconda vocazione. Nel 1935 fu nominato “Assistente ecclesiastico nazionale dell’Associazione dei giornalisti cattolici”. Sarà in questa veste - assieme a quella di “Presidente dell'Associazione delle scuole cattoliche”, e di professore di filosofia - che si troverà ad affrontare, dapprima alla lontana e poi in uno scontro sempre più diretto e frontale, l'ideologia e la violenza nazista, a cui P, Tito contrappone la legge del Vangelo, legge di vita e di amore.
Da qui la decisione di arrestarlo il 19 gennaio 1942. Passa attraverso vari carceri e infine viene deportato nel lager di Dachau, dove viene ucciso il 26 luglio 1942 con una iniezione di acido fenico. Muore alle ore 14. È martire, testimone di Cristo, p. Tito non solo per il motivo per cui viene arrestato e poi ucciso, ma anche per il modo come vive il suo calvario nelle varie tappe di Scheveningen, Amersfoort, Kleve, Dachau, dal 19 gennaio al 26 luglio 1942.
P. Tito passa da questo inferno di disperazione e di morte conservando integri gli spazi interiori di libertà e lasciando a tutti testimonianza di altruismo, di attenzione amabile all'uomo e di speranza. Vive il suo calvario nel convincimento che nella sua carne e in quella degli amici vengono portati a compimento la passione e il dolore di Cristo. E in questa ottica coinvolge quelli che gli sono vicini. All’infermiera che gli praticherà la puntura di acido fenico, regala la sua corona del rosario, dicendole: «Anche se non sai pregare ad ogni grano dì soltanto “prega per noi peccatori”». Più tardi la stessa, odiata da tanti prigionieri perché sapevano quello che faceva, testimonierà: «Il servo di Dio aveva molta compassione per me».
di P. Alberto Neglia o. carm.
Comments