Paolo nell’Areòpago di Atene Un annuncio a chi non conosce
Difficoltà di ordine sociale e culturale, la malattia, la prigione, disavventure per mare e per terra: tutto ciò dovette affrontare Saulo/Paolo di Tarso, l’apostolo delle genti, nel suo lungo cammino dalla città di Damasco, che segna la tappa della conversione, a Roma, dove trova il martirio. Possiamo seguire questo itinerario nelle pagine degli Atti degli Apostoli, scritte dall’evangelista Luca, un itinerario preciso, “una testimonianza dal vivo, in cui vediamo il cammino incarnato della Parola fino a diventare topografia”. (G. Ravasi) In At 17, 16-33 Paolo è ad Atene, da solo; attende i suoi compagni di viaggio, Timoteo e Sila, per riunirsi a loro dopo le peripezie in terra di Macedonia. A Filippi, infatti, ha fatto esperienza della persecuzione, è stato denunciato e gettato in carcere insieme a Sila; liberato dal carcere, ha lasciato Filippi ed è sceso verso la Grecia, giungendo a Tessalonica. Qui si è scontrato con l'ostilità degli ambienti giudaici e, accusato di sedizione politica, è fuggito, trovando scampo prima a Berea e, infine, ad Atene. Paolo è in attesa dei suoi compagni e, stando a quanto ci riferisce Luca (At 17, 16), freme nel vedere quella città piena di idoli; la frustrazione maturata nell’esperienza delle tappe precedenti e il contatto con gli ambienti pagani ateniesi non lo inducono, tuttavia, a ripiegare su se stesso, a nascondersi, nel timore di nuove accuse e di attacchi alla sua persona; il coraggio e l’amore per la Verità lo spingono allo scoperto, a discutere di Dio con i giudei nella sinagoga, con i pagani credenti, con tutti quelli che incontra nell’agorà, anche con filosofi seguaci dell’epicureismo e dello stoicismo, i quali, al sentirlo annunciare Gesù e la resurrezione, che essi recepiscono come i nomi di due divinità straniere, pur considerandolo un ciarlatano (σπερμολόγος, spermologos, un uccello che becca qua e là, una cornacchia, un parolaio che ripete luoghi comuni), gli chiedono di esporre la sua dottrina, che suona strana alle loro orecchie, e lo conducono all’Areòpago, sulla “collina di Ares”, nel luogo in cui si riuniva il consiglio della polis e in cui nel tempo antico venivano celebrati i processi per i delitti di sangue. Qui Paolo pronuncia un discorso che non è una predica né una dissertazione accademica; all’inizio, traendo spunto dal contenuto di un’iscrizione da lui stesso notata su un altare della polis (΄Αγνώστῳ θεῷ, lett. “Al dio ignoto”), egli chiarisce con tono rassicurante i principi della propria fede. Il dio ignoto, quello che dichiarano di non conoscere, Paolo lo annuncia loro: è il Dio che ha creato l’universo, che dà vita e respiro, che ha creato tutti gli uomini perché abitassero la faccia della terra, grazie al quale “noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. E’ un Dio che non abita i templi costruiti dalle mani d’uomo e che non ha bisogno di essere servito dall’uomo; un Dio che non è possibile rappresentare con pietra, oro e argento (gli idoli, “li ha plasmati uno che ha avuto il respiro in prestito”, At. 17, 25; l’uomo, “è sempre migliore degli oggetti che venera, rispetto ad essi egli ebbe la vita, ma quelli mai”, Sap 15, 17). E’, dunque, un Dio inafferrabile quello che Paolo annuncia ai filosofi greci? No, tutt’altro, è un Dio da toccare; l’uomo, pur andando a tentoni, ha speranza di trovarlo; “dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute” (Rom 1, 20) perché di lui anche noi siamo stirpe”. E’ curioso notare come a questo punto, per captare l’attenzione dei suoi interlocutori, Paolo inserisca una citazione, ripresa dai Fenomeni di Arato e che allude anche al contenuto dell’Inno a Zeus dello stoico Cleante; l’apostolo non lascia nulla al caso, lui che parla il greco, ma non è greco, si è preparato adeguatamente per poter stare in piedi, in mezzo a quei retori, a dissertare con loro. Ma ciò che più urge a Paolo è annunciare ai pagani, che gli stanno di fronte, la conversione e arrivare al cuore del kerygma, alla morte e resurrezione di Gesù. E’ il punto cruciale del discorso; la resurrezione di Cristo è l’argomento spartiacque, che divide nettamente pagani e cristiani; a Luca bastano poche parole per descrivere l’esito dell’annuncio di Paolo; alcuni tra i greci lo deridono, altri rimandano ad un altro momento il confronto su quest’ultimo argomento, altri si uniscono a Paolo e credono. Del discorso pronunciato da Paolo ad Atene sono molteplici gli aspetti che invitano alla riflessione; l’agnosìa/ignoranza dei filosofi seduti nell’Areòpago di Atene ad ascoltare l’apostolo è simile all’agnosìa dell’uomo del nostro tempo, impegnato a fabbricarsi idoli senza vita, senza respiro. Un aspetto, in particolare, colpisce, la necessità di conversione, di un cambiamento, che non abbia come fine solo quello di farci sentire moralmente migliori, ma che ci renda docili strumento dello Spirito, assertori coscienti della vita oltre la vita.
di Tinuccia Russo
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