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Quale futuro si preparaper la Chiesa? Non temere, piccolo gregge

Fermando lo sguardo sulle nostre comunità ecclesiali tornano alla memoria le parole profetiche di papa Benedetto XVI: “…una Chiesa che diventerà più piccola, che perderà molti privilegi, sarà più umile e autentica e troverà energia per l’essenziale”. La vocazione della Chiesa è evangelizzare.

Il vero problema non è se siamo pochi ma se la Chiesa evangelizza, se con gioia adempie il mandato che Gesù le ha assegnato prima di tornare al Padre suo dopo la risurrezione. In teoria tutti noi abbiamo appreso la lezione di papa Francesco e utilizziamo i suoi aforismi continuamente. Il più abusato è quello di chiesa in uscita anche se a ben guardare non solo non usciamo noi, ma imprigioniamo il Signore nei nostri schemi fatti di regole e moralismi e gli impediamo di raggiungere tutti coloro che per scelta o per mancanza di opportunità sono ancora lontani e non lo hanno incontrato. In un mondo che sta attraversando una terribile crisi antropologica acuita da una devastante pandemia che ha seminato morte, angoscia e solitudine e dalla tragedia della guerra nel cuore dell’Europa, con le sue conseguenze distruttive e con l’incombente minaccia di una distruzione planetaria legata alla possibilità dell’uso delle armi nucleari, la vocazione della Chiesa è sempre quella degli inizi: portare Cristo nel mondo. Non attraverso un culto esteriore e ipocrita fatto di riti, processioni, orpelli, celebrazioni sontuose e sterili, ma attraverso un annuncio di fede che arrivi al cuore e doni senso all’esistenza e la speranza della vittoria del bene sul male che ci affligge. La festa dell’Ascensione, quaranta giorni dopo la Pasqua, ci presenta Gesù che benedice i discepoli e si stacca da loro. Gesù non abbandona i suoi, entra piuttosto nel profondo di tutte le vite, è presente, non ci abbandona, cammina con noi tutti i giorni e ci fa annunciatori del Vangelo della pace, quel vangelo che disarma i cuori prima ancora che gli eserciti ma che non può essere credibile se annunciato da cristiani che sono divisi, non riconciliati, che alimentano conflitti. Se i cristiani, malgrado le fragilità e infedeltà individuali, fossimo ardentemente animati dallo Spirito del Signore risorto, dal suo messaggio di amore e fraternità universale che supera i confini della propria comunità di appartenenza e della propria nazione, non staremmo qui ad interrogarci sui motivi del sempre più esiguo numero di persone che si riconoscono membri della Chiesa. Sembra di essere tornati al tempo del ”Cristo sì, Chiesa no!” C’è di certo una crisi di credibilità dovuta ad una discrasia, ad una testimonianza dei credenti, siano essi vescovi, sacerdoti, religiosi, laici, non sempre luminosa e trasparente che allontana, genera diffidenza, rigetto. Ma la sete, il bisogno e il desiderio di sacro, di spiritualità è diffuso in tanti uomini e donne, di tutte le età, anche se purtroppo spesso non si attinge alla Sorgente di acqua viva ma a cisterne screpolate (cf Ger 2,13). Cogliere questo bisogno e rispondervi senza indolenza e in maniera autentica è la sfida per il futuro e deve diventare la preoccupazione per ognuno di noi.

La domanda di Gesù: “…Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8) deve spingerci a lavorare di più e meglio per diffondere il messaggio della salvezza, nel campo di Dio che è il mondo.

di Pina Torre


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