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RUBRICA - Cercatori di senso lungo i secoli

La pioggia cadeva da ore, sottile e gelida. Un fulmine aveva colpito un albero, lasciando nell’aria odore di legno bruciato. L’uomo era tornato alla grotta con le spalle coperte di pelliccia e il fiato corto. La caccia era andata male: il cervo era svanito oltre la collina. Si accovacciò accanto al fuoco e riguardò i segni tracciati giorni prima sulla parete. Si alzò. Toccò la roccia. Per un attimo, pensò che quella mano che lo aveva preceduto fosse la sua.

L’arte nasce qui: nella penombra di una grotta, in un semplice gesto che è già una prima forma di spiritualità.

Davanti al fulmine che squarcia il cielo o al vulcano che ruggisce, i nostri antenati scorgevano una volontà superiore.

Alla radice di ogni ricerca religiosa c’è una domanda che non smette di bruciare: perché la vita, se poi finisce? Il timore della morte e il dolore per la perdita di sé e dei propri cari spingono l’uomo a immaginare una realtà oltre il tempo e lo spazio. A questo bisogno si affianca un’esigenza normativa: la religione non era solo consolazione, ma fondamento dell’etica condivisa.

L’ebraismo introduce una svolta: non è più l’uomo a cercare Dio, ma un solo Dio a chiamare l’uomo per nome. È una voce che si rivela, che affida una legge, che stringe un’alleanza.

Il cristianesimo va oltre: quella voce prende carne. In Gesù, Dio entra nella storia, assume la fragilità, abita il dolore. La fede cristiana non è solo adesione a un’idea, ma fiducia in un evento: la Resurrezione.

Nell'era moderna, la questione si capovolge. Feuerbach parla di proiezioni: l’uomo attribuisce a un essere supremo le qualità che vorrebbe per sé – perfezione, eternità, amore – e così si aliena, separandosi dalla propria stessa essenza.

Per secoli, credere è stato l’orizzonte condiviso, quasi naturale. Non credere significava uscire dalla norma, essere un’eccezione. Con la modernità, accade l’inverso: anche l’assenza di fede diventa una possibilità riconosciuta, una delle espressioni della libertà di coscienza.

In questo nuovo contesto culturale, il non credere prende due strade principali: l’ateismo, che nega ogni realtà oltre il visibile, e l’agnosticismo, che sospende il giudizio, ritenendo impossibile sapere.

Per molti, le religioni non sono rivelazioni, ma strutture di potere: strumenti di controllo fondati sulla colpa o sulla paura. Ma questa lettura, pur avendo radici storiche, dimentica qualcosa: anche se fosse tutta un’invenzione, il bisogno di senso resta reale. È antico quanto l’uomo. E nessuna epoca lo ha cancellato.

Oggi, la ricerca continua, ma cambia forma. Sempre meno persone si affidano alle religioni tradizionali nella loro interezza. Molti preferiscono costruire un percorso personale: attingono a tradizioni diverse, scelgono simboli, parole, pratiche, componendo una spiritualità su misura. Cresce anche l’interesse per le religioni orientali, dove la reincarnazione si offre come alternativa simbolica e concettuale alla resurrezione cristiana. La fede diventa un’esperienza soggettiva, modulare, frammentata, senza dogmi né intermediari. Ma la domanda resta.

Nella società del consumo, nuovi dèi occupano la scena: denaro, successo, immagine. Il tempo libero è sospetto, la contemplazione è improduttiva. Pregare, leggere, fermarsi: tutto ciò che non produce valore economico viene marginalizzato.

Ma proprio in quel gesto inattuale – fermarsi – nasce un altro spazio. Uno spazio in cui si può tornare a chiedere, a pensare, a sperare.



di Francesco Lipari

 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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