Sangue e lacrime
“Benvenuti in questa terra bagnata da sangue e lacrime”. Così mi ha accolto la signora Drane una delle prime volte che mi sono recato nel villaggio di Thumanë diventato purtroppo celebre, nel novembre 2019, per essere stato completamente raso al suolo, come nel peggior dei film apocalittici, da un violentissimo terremoto.
Pensando, a distanza ormai di quasi sei mesi, a quella conversazione, “sangue e lacrime” sono forse le parole che davvero meglio riassumono la storia più recente di questa terra dove mi trovo in missione, l’Albania segnata dalla dittatura comunista prima, cruda e distruttiva, dalla fuga di massa in Italia poi, che ha svuotato le città ed i villaggi e fatto scappare intere generazioni di giovani e dal terremoto ora. Essere in missione in Albania forse più che in altri luoghi del mondo significa così saper riconoscere e rispettare la terra che si calpesta, avendo la triste certezza che ogni famiglia è stata toccata dall’uccisione di qualche caro spesso semplicemente perché dichiaratosi cristiano e che quelli che si sono salvati ci sono riusciti perché hanno professato la fede nel segreto delle loro case o delle cantine o nel buio delle loro stanze, quando sono riusciti a non abdicare.
Essere in missione qui, nella nostra zona, significa parlare di Dio e del suo amore per ogni uomo e donna rivolgendosi a persone che, con anziani e bambini, vivono da quasi due anni in tende, container, alcuni nelle stalle degli animali riqualificate e riadattate ad abitazioni, attendendo “tempi migliori” come ripetono sempre le vecchiette ai bordi del centro terremotati.
Provare ad annunciare Cristo che dà dignità ad ogni persona, in questa penisola, significa ripetere e ripetere e ripetere ancora, fino allo sfinimento, che Gesù ha portato pace e perdono nel mondo e nella storia e che “occhio per occhio, dente per dente” non vale nemmeno quando ti uccidono un figlio o un padre, quando le armi girano di mano in mano come fossero giocattoli, quando il cimitero è un lamento continuo di madri, mogli, figlie che piangono vite spezzate troppo presto. Essere in questa terra significa sapere che i giovani hanno – troppo spesso - una strada già segnata (che non è quella che ogni genitore raccomanderebbe) che può essere evitata solo scappando via lontano, magari in Europa. Vivere in missione in Albania è stringere i denti, ogni giorno, spinti e sospinti dalla speranza di “salvarne” almeno uno, trasmettendo la bellezza di una vita “gratuita” piuttosto che di un’esistenza segnata da rabbia e delusione. Essere in missione qui significa anche gustare la bellezza della semplicità di chi non cerca molto più di quello che ha, di chi continua a ripetere “Dio è con noi da sempre, anche se talvolta noi non lo vediamo, ma arriverà il giorno in cui capiremo il perché di tutta questa sofferenza”. Essere stare in Albania vuol dire lasciare davvero tutto nelle Sue mani e dirsi: “noi facciamo quel che possiamo, al resto pensaci Tu!”.
Andrea Velocci, sem. CPPS
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