top of page

Se la comunità cristiana ha qualcosa da dire, da dare ancora

Nel tempo Pasquale, da Pasqua a Pentecoste, è bene - come la liturgia ci suggerisce - prendere tra le nostre mani il libro degli “Atti degli Apostoli” per ritornare alla sorgente, per riscoprire la bellezza di essere “cristiani”, come per la prima volta furono chiamati ad Antiochia i discepoli di Cristo, “quelli della via”, e per trovare le ragioni di essere comunità evangelizzante, con slancio entusiastico, pur tra fragilità nostre, difficoltà e resistenze culturali all’accoglienza dell’Evangelo nel nostro presente. Paolo VI, con lucida consapevolezza, aveva denunciato la frattura tra Vangelo e cultura, alla metà degli anni settanta del secolo scorso, cosa che è accaduta nei secoli non raramente. E noi costatiamo quotidianamente, quasi inermi ed impotenti, che le chiese si svuotano, che un certo cristianesimo fatto di riti, di tradizioni, di costumi morali condivisi si è isterilito, non ha più nulla da dire e da dare all’uomo della strada, non incuriosisce, non attrae, non offre motivi per ripensarsi e per vivere un’esperienza di chiesa. Diremmo che in tutta l’Europa c’è una fuga dalla Chiesa e che le nuove generazioni, non più condotte per mano all’incontro con Cristo attraverso l’opera educativa delle famiglie e la prassi iniziatica dei sacramenti, della catechesi, dell’orato-rio, sempre più ignorano Cristo e, comunque, non hanno ragioni per cercarlo.

Risuoni in ciascuno di noi superstiti cristiani il grido dell’Apostolo Paolo “Guai a me se non annuncio il Vangelo” e con Pietro diciamo a chiunque «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». Facciamo strada insieme!

Proprio così. il Vangelo, Cristo Signore, è la nostra vita comunicata e condivisa nelle relazioni e nei gesti semplici dei nostri incontri esistenziali, come aveva intuito e proposto Paolo VI: “occorre evangelizzare (...) partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio” (Paolo VI, EN, 20).


Mons. Santino Colosi

Comments


bottom of page