Segni di contraddizione Unità e fratellanza
Da qualche tempo sono tornato studente! Il lungo percorso formativo che porta un giovane all’ordinazione sacerdotale è caratterizzato tra le altre cose, come è noto, dallo studio della filosofia e della teologia e perciò anche per me quest’anno si sono spalancate le porte dell’università Gregoriana di Roma. Se certamente da un lato sto apprezzando e gustando ciò che delle varie discipline provo ad apprendere, dall’altro lato una delle cose che più mi sta affascinando è il vedere centinaia di giovani - consacrati e non - provenienti da ogni angolo della terra, con lingue, culture, colori, storie, tradizioni ecclesiali e nazionali diversissime e che comunque si ritrovano quotidianamente nello stesso posto per, in fondo, attraverso lo studio, approfondire la conoscenza di una persona: Cristo Gesù.
In modo particolare, ho avuto l’opportunità di trascorrere un po’ di tempo con un gruppetto di colleghi del mio anno, seminaristi come me, non solo provenienti da altri Paesi, ma appartenenti alle chiese cattoliche orientali: due libanesi di rito melchita, un armeno e un brasiliano ospite del collegio dei maroniti. Proprio quest’ultimo, nel salutarci, ci ha invitato a visitare la chiesa maronita: qui dopo aver un po’ discusso e condiviso le differenze che ci sono tra i vari riti e le varie tradizioni dell’unica Chiesa ci abbiamo insieme recitato il Padre Nostro, dopodiché, nella lingua propria del rito con cui celebriamo l’Eucarestia - io in latino ad esempio - abbiamo intonato a turno un’antifona mariana e per concludere il ragazzo armeno ha voluto cantare nella sua lingua un altro canto alla Madonna; mentre cantava ho riconosciuto, con mia viva sorpresa, che stava intonando “E’ l’ora che pia” e così, dopo di lui, anche io ne ho intonato una strofa in italiano… la cosa bellissima è stata che anche gli altri ragazzi hanno riconosciuto la melodia e quindi uno dopo l’altro, ciascuno nella sua lingua nativa, ha elevato questo canto alla Vergine. E stato un dono prezioso e inaspettato di comunione! Un’altra esperienza simile l’avevo vissuta qualche settimana prima quando insieme ai confratelli di seminario con cui ho condiviso l’anno propedeutico (per noi “anno d’accoglienza”) abbiamo partecipato ad una “reunion” virtuale con i ragazzi e le ragazze che con noi avevano frequentato una vera e propria scuola di formazione per novizi ad Albano Laziale. Anche qui le provenienze geografiche e culturali erano le più disparate e infatti nel ritrovarci online si è scoperto che molti sono ritornati nel loro Paese d’origine o si trovano - per conto del loro ordine religioso - in missione in un altro Stato: nel momento di condivisione che abbiamo fatto ho potuto ascoltare, tra le altre, le forti testimonianze di una giovane suora libanese oggi ad Aleppo - lì dove la situazione continua ad essere delicata - e di due giovani seminaristi rientrati in Ucraina che ci raccontavano (eravamo alla vigilia dell’invasione Russa) delle forti tensioni e dell’alta preoccupazione che si respirava tra la loro gente e di quello che con la comunità stavano cercando di fare. Ancora una volta sono uscito da quell’incontro consapevole della bellezza che l’appartenere all’unica Chiesa significa.
Viviamo in un tempo di smarrimento in cui, le conseguenze della pandemia prima e la ferocia della guerra poi, stanno mostrando più che mai quanto semplice e banale sia per il genere umano disgregarsi e calpestarsi. Dinnanzi a tutto questo ogni cristiano non può rimanere certo indifferente e schierarsi da una parte rispetto ad un’altra non è assolutamente contro il Vangelo: siamo chiamati a prendere posizione ma nel farlo dobbiamo anzitutto avere chiaro che il vero bene non si costruisce sulle differenze esasperate ma sulle affinità ricercate, coltivate e rinnovate. Nei nostri rapporti quotidiani, nella nostra comunità parrocchiale, nella nostra città, nel servizio che svolgiamo o svolgeremo per il nostro Paese o per il mondo saremo da cristiani “segno di contraddizione” solo se riusciremo ad essere prima di tutto tra di noi, oltre ogni distanza, fautori di unità e strumento di fratellanza.
In queste esperienze che ho brevemente riportato le diversità e le distanze sono molte, note e apparentemente incolmabili, ma c’è una verità di fondo che unisce, c’è un perché che rende tutti fratelli: l’essere parte dell’unico corpo vivente di Cristo che è la Chiesa!
di Gabriele Panarello
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