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Seguire Gesù non è facile

Il Maestro non è mai stato una panacea a buon mercato, non ha mai promesso trionfi e vittorie ai suoi discepoli anzi, paradossalmente il pane quotidiano di coloro che decidono seriamente di seguirlo sono le persecuzioni. «Il Signore Gesù rimane sempre un oscuro mistero, una segreta primizia, un estremo paradosso e tutto questo è divino». Sapere che Gesù ha attraversato la morte ed è risorto dai morti non è mai «un prepotente canto di alleluja, ma il fondamento di una speranza tanto bella da accogliere, ma dura, seria e viva».

I suoi discepoli, per vincere, dovranno accettare di essere sconfitti, per diventare nutrimento e vita per tutti dovranno spezzarsi e versarsi, consegnarsi inermi nelle mani dei carnefici, mettere in conto l'annullamento, la kénosis, lo svuotamento di sé stessi. La resurrezione presuppone sempre la morte, non la sfugge, il male non viene eliminato da una forza più grande, ma da una debolezza che cede alla forza, da una fragilità che ripone la sua fiducia solo nella fedeltà di Dio alle sue promesse. La Chiesa è da sempre chiamata ad essere, come il suo Maestro, «luce che splende nelle tenebre» anche quando le tenebre ( la cattiveria, la violenza, l'odio...) tentano di sradicare dal suo cuore la fiducia in Dio, cosciente che il progetto del Regno ha solide basi solo nella fedeltà alle promesse del Padre, non nei facili successi. Agli scoraggiati discepoli di Emmaus, Gesù ha spiegato che «era nell'ordine delle cose che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria», che il Figlio ha attraversato ogni aspetto della nostra vita eccetto il peccato, non soltanto per insegnarci a vivere da figli di Dio e fratelli fra di noi ma, al pari di noi, ha attraversato anche la morte per insegnarci come si muore, rivelandoci con la sua resurrezione che la morte non ha più alcun potere su di noi. Solo una fede così può fiorire nella speranza nonostante che il male sembra prevalere. Nemmeno per Maria è stato facile vedere Dio in un bambino bisognoso, perseguitato e, alla fine della sua vita, crocifisso. Siamo restii a vedere l'Onnipotente nell'impalpabilità di uno Spirito che, come la brezza leggera di Elia, sembra sottrarsi al confronto con gli idoli e soccombere al loro cospetto. Solo con una fede siffatta è possibile alla Chiesa celebrare l'Eucaristia. In ogni celebrazione eucaristica invochiamo lo Spirito Santo non solo perché trasformi il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù, ma anche perché riunisca sfiduciati e delusi «in un solo corpo»: quello di Cristo Gesù. Siamo coscienti, però, di stentare a fare affidamento sullo Spirito Santo quando ci barcameniamo angosciati per trovare amicizie potenti che facilitino i nostri progetti, quando misuriamo la riuscita delle nostre azioni dagli applausi e dai consensi che suscitano. Abbiamo finito per credere nel potere mondano illudendoci di poterlo convertire, di farlo diventare buono, ma sappiamo bene che Gesù, all'inizio del suo ministero pubblico, ha rifiutato risolutamente la tentazione del potere in ogni sua espressione: economica, politica e religiosa. Il Signore Gesù si è spogliato da ogni segno di potere e si è fatto servo anzi, schiavo di tutti i fratelli, cingendosi dell'unico e solo paramento sacro presente quel Giovedì Santo nel Cenacolo durante la celebrazione della cena eucaristica: il grembiule del servo. di Santino Coppolino

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