Sei cristiano? Una domanda in attesa di risposta
In questo mese di Febbraio mi è capitato di far visita al “Centro Astalli”, opera caritativa presente e operante nel pieno centro di Roma - a due passi dall’Altare della Patria - creata e gestita dai padri Gesuiti e che si occupa sostanzialmente di accompagnare, servire e difendere quanti, in fuga da guerre e violenze, si sono rifugiati in Italia. Mentre aspettavo di avere un colloquio con il gesuita responsabile del Centro si è avvicinato a me un ragazzo di colore e abbiamo chiacchierato per qualche minuto, alla fine mentre andava via mi ha chiesto: “ma tu sei cristiano?”. Per lui, sicuramente islamico, i cristiani sono quei fratelli che lo hanno accolto e che si sono presi cura di lui, senza chiedergli in quale Dio credesse. Per quanto la domanda potesse d’impatto sembrarmi banale mi sono reso conto che mai prima di quel momento qualcuno, italiano o straniero, mi aveva mai chiesto se io fossi un cristiano: era sempre stato scontato per me; eppure quel giorno mi sono reso conto, per la prima volta, che nel mondo che viviamo per mille e più ragioni l’essere cristiano e il professarsi tale non è un automatismo neanche in Europa o in Italia. Una società che vive un repentino e inarrestabile mutamento antropologico, cambi di paradigmi, di abitudini, di prerogative, di stili di vita, di linguaggio connessi con un inevitabile mescolamento di culture e tradizioni frutto della presenza di persone provenienti da altre regioni del pianeta toccano la Chiesa, ciascuno di noi, e non possono lasciare indifferenti. La realtà ci impone - anche se piccoli, pochi e sempre più insignificanti - di dare testimonianza gioiosa della nostra fede, del nostro battesimo, dell’Eucarestia che di domenica in domenica celebriamo, di cui ci nutriamo e che ci fa Corpo spezzato e donato per tutti i fratelli. Come fare?… Non credo si tratti di salvare il salvabile, di difendere uno spazio che si restringe sempre di più, ma piuttosto può servire entrare in dialogo con questo mondo, un mondo che pur sempre abitiamo e che è anche nostro, bisognoso delle nostre cure; un mondo nel quale siamo chiamati a farci prossimi, a sentirci responsabili per il fratello che ci sta di fronte, a percorrere - quanto meno tentarci - strade di bene, di pace e di legalità mentre il male, la violenza, il sopruso rimangono accovacciati alla nostra porta e sembrano prevalere. Un mondo in cui non dobbiamo (perché semplicemente non lo siamo!) vivere da migliori ma da gente che sa, pur nella sua povertà e umana fragilità, di aver incontrato il Signore Risorto e di aver trovato in Lui misericordia e che non solo celebra nei riti questo incontro ma, soprattutto, prova a farlo diventare vissuto quotidiano. Il cammino quaresimale che iniziamo possa condurci come singoli, come comunità parrocchiale e come Chiesa a rinnovare e ravvivare l’incontro e l’ascolto del Signore Gesù e a renderlo vita condivisa per l’altro: con quel prossimo che forse solo attraverso il nostro volto potrà intravedere e incontrare il volto di Cristo e, chissà, incuriosirsi e scegliere di seguirlo.
di Gabriele Panarello
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