Siamo ancora capaci di festa?
Colori, odori, sapori, suoni, luci, volti di un giorno di festa, per tutto un popolo, impressi come sigillo nella mia mente e nel mio cuore fin dalla fanciullezza e nomi invocati: Stefano, Maria ed Elisabetta.
Un paesello quasi nascosto tra le dolci propaggini dei Peloritani, immerso nel verde delle campagne e delle pinete, aperto verso l’orizzonte dell’azzurro mare delle Eolie: Salice.
Il tre agosto: S. Stefano protomartire. La piccola chiesa al centro della piazzetta del villaggio, cuore pulsante di una comunità operosa di gente schietta, solidale, fraterna, accoglie paesani e forestieri, emigrati rientrati nel villaggio per l’occasione: la Messa cantata con tre “parrini”, il predicatore, e la gente tutta in coro esulta “Evviva Santo Stefano, Santo Stefano evviva…”. Tutti a tavola nelle modeste case, i “picciriddi” in angoli rimediati della stanza, piatti fumanti di “pasta ca sassa e carni ‘nto sucu”: è gioia del ritrovarsi come famiglia.
Alla sera la processione del Santo per i vicoli stretti, i vecchi sull’uscio di casa con le lacrime agli occhi, le signorine dell’Azione cattolica al centro dell’attenzione dei giovanotti, la commissione pronta a ricevere generose banconote da attaccare sulla statua, la banda, le bancarelle “ca calia”, palloncini e giocattoli per far sognare i bambini, il “ballo” finale e la benedizione con la reliquia. Si è fatta notte con la “musica a paccu’, a “passiata” con il gelato, i giochi d’artificio e le variopinte luminarie a rischiarare le viuzze. La festa è finita ed ognuno si congeda, pago nel cuore, con la speranza di ritrovarsi con i propri cari l’anno prossimo “pi Santu Stefunu”.
2 luglio: Madonna “a razia” o da “Paci”. Un festoso scampanio e “coppi i muttaru” annunciano il giorno di festa dal Serro Finata fino all’ultime case, tra vigne e uliveti in cui il paese si snoda con le sue abitazioni di famiglie di contadini, operai, artigiani, impiegati, professionisti e possidenti. “Paci supra” e “Paci sutta”, comunisti e democristiani, ricchi e poveri, paesani e forestieri… la vara con il suggestivo incontro di Maria ed Elisabetta tutti incanta con la sua bellezza, adorna con gli agapanthus bianchi ed blu, e con grappoli di “cardinale” dalla Marina, tutti aduna: “Lodate Maria o lingue fedeli: risuoni nei cieli la vostra armonia.
Lodate, lodate, lodate Maria!”. Dai paesi vicini e da “chiana di Milazzu” ci si da convegno per la prima festa della stagione estiva. Il giro mattutino della banda, con le sue gaie note, ha diffuso nei cuori pace ed armonia. La granita limone ed i biscotti, a colazione. È tempo della Messa ed i chierichetti vocianti rallegrano la piazzetta antistante la chiesa, scrigno di bellezza con le sue tele ed i suoi altari.
Alla sera la processione, con le bandiere e gli stendardi delle associazioni, i ceri della Confraternita, i portatori e le devote a piedi nudi per sciogliere un voto, passa tra due ali di folla assorta nella preghiera del rosario e canti mariani accompagnati dalla banda.
Al rientro ci si affretta verso casa: “a carni ‘nto tianu i rasta” appena sfornata aspetta mentre dalle fresche acque dei pozzi si tira fuori a “cufinedda” ricolma di cardinale, pesche, smerge profumate, “muluni ” e… un “buttigghiuni” di vino.
E poi, per chiudere in bellezza il giorno della festa che ha rinsaldato nella devozione a Maria i vincoli d’affetto, d’amicizia, di famiglia, e l’appartenenza ad un popolo rendendoci orgogliosi di essere “pacioti”.. uno schiumone servito al piccolo bar. “A cascia infernali” chiude “u giocufocu” e con l’ultimo colpo di mortaio: Viva Maria!
di Mons.Santino Colosi
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