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SOS Giovani Per un nuovo stile relazionale

Mi ritengo davvero un ragazzo fortunato, come direbbe Lorenzo Jovanotti! Tra la parrocchia, l’oratorio, il teatro, la breve parentesi della politica, il liceo e l’università, l’odierna realtà cpps in cui vivo credo di aver sempre avuto l’opportunità di confrontarmi, salvo rare eccezioni, con ragazzi e ragazze - prima più grandi di me e poi via via, con il passare degli anni, coetanei o di qualche anno più piccoli - appassionati e con cui condividere esperienze di non poco rilievo. Ogni tanto, lo ammetto, mentre riaffiorano i ricordi e con essi i volti e i nomi di certuni, grazie ai social, posso “rivedere” qualcuno che da tempo non sento o non incontro anche solo di sfuggita, e non raramente constato che non sono pochi quelli che per lavoro o studio o per altre ragioni hanno cambiato città o Nazione; allo stesso tempo sono diversi quelli che pur essendo rimasti a casa hanno cambiato interessi, stili di vita, gruppo di amicizie… come se, almeno in apparenza, dei capitoli della loro vita che pure sembravano sul momento averli appassionati, siano stati non solo chiusi ma proprio rimossi. Nelle ultime settimane sono stati diffusi alcuni dati statistici che indicano come nel giro di due anni sia raddoppiato il numero di giovani e adolescenti con un basso punteggio di salute mentale, insoddisfatti della loro vita ed emigrati all’estero. Desta preoccupazione poi l’indicazione giunta da diverse aziende che si trovano in grossa difficoltà poiché, nonostante le numerose richieste, sono pochi i giovani che si fanno assumere come operai spaventati, tra l’altro, dalla mole di lavoro e dalle turnazioni notturne. Ora fare - come si suol dire - di “tutta l’erba un fascio” non credo sia opportuno anche perché ogni giorno, nel mio piccolo, continuo a fare esperienza del contrario di quanto questi indicatori rilevano, ma non si può certo negare, allargando lo sguardo, che qualcosa in quello che è stato il normale procedere della società e delle realtà parrocchiali nell’ultimo secolo si è inceppato.

Il mondo dei social, di internet e della Tv pur nella loro varietà e ricchezza non di rado veicolano modelli di riferimento e/o messaggi con contenuti che non contemplano alcun tipo di sacrificio, di impegno, di costanza, di approfondimento, di ponderazione; la scuola - soprattutto alcuni indirizzi scolastici - vittima anch’essa di scelte politiche scellerate, negli ultimi due decenni ha dovuto “adattarsi” per sopravvivere sacrificando energie, forse, volte alla maturazione negli studenti di uno spirito critico sulla realtà; la possibilità di avere tutto a portata di mano (o meglio di smartphone), alimentato dalla pandemia, ha favorito il fascino di una vita sedentaria in cui rinchiudersi a discapito delle relazioni, degli incontri in piazza, nei cinema, nei pub. Di tutto questo e di molto altro (la frammentazione familiare ad esempio) i ragazzi non sono stati gli artefici ma i destinatari o, meglio, le vittime e dire questo non significa dare manforte a movimenti rivoluzionari che lasciano il tempo che trovano, ma provare a ricercare le radici di uno stile educativo troppo concentrato forse sugli entusiasmi, che pure servono ma che, in un contesto in cui la ricerca di qualcosa di nuovo è sempre in azione, se non calati all’interno di un vissuto da scoprire, da coltivare e da maturare, rimangono tali e si spengono rapidamente, senza lasciare traccia.

Accompagnare, ascoltare, dialogare: questi tre verbi indicati da papa Francesco a tutti e ad ogni livello - dal mondo civile a quello parrocchiale - possano essere il punto di partenza di una possibile alternativa, di un modo nuovo di entrare in contatto con l’altro, con i più giovani e non solo, più faticoso e soggetto al rischio ma chissà, probabilmente, più efficace.



di Gabriele Panarello

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