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Un amore senza alcun limite

Nel Nuovo Testamento il banchetto e la festa sono i simboli del Mistero Eucaristico, i segni dell'immenso dono offerto a noi: quello di sentirci una sola cosa in Dio, uniti insieme da un amore che ci avvolge, ci coinvolge e ci sorpassa (nella lingua ebraica 'insieme' si dice 'Yahad', tradotto alla lettera: Uno in Yahweh). Il dono più grande del Risorto è la pace, la riconciliazione definitiva dell'uomo coi fratelli e col Padre, perché nessuno possa più sentirsi escluso da questo amore, anche se i suoi peccati fossero «rossi come la porpora» (Is 1,18).

Nell'Ultima Cena Gesù consegna sé stesso senza alcuna riserva condividendo con noi lo stesso nostro destino, senza separare i buoni dai cattivi, i peccatori dai giusti, come la pioggia che scende su tutti e il sole che illumina tutti. Splendida immagine, questa, del Padre che non attende la nostra conversione per amarci ma, amandoci, risveglia in noi il desiderio profondo di tornare da Lui. Questo Amore gratuito, incondizionato, divino, costituisce la nostra più intima verità e la natura più profonda: come ogni vivente senza ossigeno non può vivere così senza l'Amore non si può essere pienamente umani né edificare umanità. Ovviamente amare non è scontato né facile in un mondo dove ci si uccide per un nonnulla, si scatenano guerre fratricide e si organizzano stermini di massa senza soluzione di continuità.

L'Amore non è il 'volemose bene', non è nemmeno l'atteggiamento irenistico 

di chi sottovaluta le implicazioni del male, le dimentica o le rimuove. L'uomo eucaristico non è un pacifista irenico, egli è chiamato ad alzare la voce contro ogni forma di violenza, è un profeta ardente che, nel Nome del Dio della vita, denuncia le ingiustizie anche a costo della propria vita, come seme gettato nella terra dell'umanità per generare frutti di giustizia e di pace. L'Amore è il dono del Risorto, l'unico dono che ci fa vedere bellezza e bontà persino in chi «ha ricoperto l'immagine di Dio che porta in sé sotto una montagna di rifiuti» (cit.). Sono le viscere di misericordia del Padre che accoglie in casa il figliol prodigo ed esce dalla sala della festa per rabbonire il figlio maggiore legato ancora a criteri di merito e demerito, un figlio che, in fondo, non conosce ancora cosa sia l'amore e giudica il fratello spendaccione soltanto con il rigido criterio dei fatti.

Per noi cristiani (ma anche per il mondo intero) l'unica speranza è in questo appello all'amore per ogni uomo. Fino a che punto è sensato spingerci sul cammino eucaristico dell'amore? Laici o consacrati, quanti ci accostiamo al Corpo e Sangue di nostro Signore Gesù Cristo non possiamo dimenticare che il Mistero Eucaristico avviene in un clima di definitività, di assolutezza, di mancanza di limiti, celebriamo un amore portato all'estremo, vissuto fino a morire. Tutto è eccessivo, sconfinato, smodato: «Charitas sine modo». Davanti ad un amore così grande ci sentiamo piccoli, inadeguati, smarriti, ma è proprio questa la sfida dell'Eucaristia. «Fin dove, allora, può giungere una persona eucaristica? Fino alla santità, fino alla consegna di sé, fino al martirio» (cit.).


di Santino Coppolino




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