Un cristianesimo non religioso? Con Gianni Vattimo
La visione illuminista che vedeva nella religione un elemento sempre più residuale della società può dirsi fallita. La società moderna, con la sua potenza tecnico-scientifica, non si è imposta del tutto contro ogni dimensione umanistica. Se quindi il fenomeno religioso non è stato liquidato (lo sarà mai?) quali forme di religione sono rimaste ancora in vita? Il religioso è presente solo nelle sue espressioni più eclatanti e visibili. Oppure si trova anche altrove, magari più nascosto ed ignorato? Il filosofo Gianni Vattimo, recentemente scomparso, individua nella secolarizzazione l’elemento decisivo di ogni autentica esperienza religiosa. La secolarizzazione è per lui “rapporto di provenienza da un nocciolo di sacro da cui ci si è allontanati e che tuttavia rimane attivo anche nella sua versione decaduta, distorta, ridotta a termini puramente mondani”. Vattimo propone quindi una lettura della secolarizzazione molto diversa da quella più comunemente diffusa. Se pensiamo che negli ultimi 40 anni (a partire dalla rivoluzione khomeinista del 1979) il ritorno del sacro in politica si è imposto soprattutto come prevalenza dell’immagine più intollerante della religione, ci possiamo rendere conto della grande ambiguità della rinascita della religione. Nonostante il cammino ecumenico ed il dialogo interreligioso abbiano fatto passi notevoli, i fondamentalismi attraversano minacciosamente tutte le religioni, alimentano nazionalismi, producono violenza. Se queste osservazioni sono vere, come si fa a dire, come fanno i tradizionalisti, che le guerre nelle diverse società sono conseguenze della perdita di valori assoluti e del relativismo? I peggiori scontri hanno spesso coloriture religiose, per quanto spesso di tipo strumentale. Sono piuttosto concezioni esclusiviste del bene e della verità, che si impongono unilateralmente, come una clava, senza riconoscere spazio e dignità ad altre concezioni del bene e della verità, a scatenare l’odio per l’altro. Il pensiero di Vattimo, che si ispira in particolare alle idee di Nietzsche, Heidegger, Girard, offre in questo senso molti aspetti per ritrovare, non nonostante la secolarizzazione, ma paradossalmente proprio grazie ad essa, la grande, attuale, vitalità della fede cristiana. L’etichetta, “Pensiero debole”, con la quale è stata definita la sua filosofia, non rende bene il senso della sua proposta che va quindi chiarita. Secondo il filosofo torinese è solo a partire dal paradosso della rivelazione cristiana, costituita dall’incarnazione di Dio, la kenosis, che vengono messi in crisi tutti quei caratteri forti della trascendenza intesa in senso sacrale, l’Essere supremo, e quindi di conseguenza tutte quelle concezioni assolutiste della morale che ne derivano, ma che risultano invece storicamente collocate e quindi contingenti. Scrive Vattimo che lui con la sua proposta sta cercando di attenersi “alla paradossale affermazione di Gesù secondo cui non dobbiamo più considerarci servi di Dio, ma suoi amici. Non dunque un cristianesimo facile, ma semmai amichevole, proprio come Cristo stesso ce lo ha predicato”. Il riferimento è ovviamente al vangelo di Giovanni 15,15: “Non vi chiamo più servi ma amici”. Con questo non si vuole certo affermare che la filosofia di Vattimo sia tutta da condividere, ma che rappresenta comunque una stimolante proposta, un cristianesimo non metafisico, con cui confrontarsi anche come cattolici.
di Dino Calderone
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