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Un Viaggio di Amore e Resilienza Quando la diversità bussa alla porta della nostra “normalità”

Estate 2024. Una famiglia cammina tra le pietre antiche di Assisi. I raggi del sole filtrano dalle vetrate delle basiliche in un gioco di luci colorate, ed ecco che, appena varcata la soglia di una chiesa, un bimbo attratto da questo caleidoscopio visivo, echeggia con la voce in un suo canto: sono ecolalie, sillabe, riverberi di suoni emessi per gioco, per bisogno, per stupore. Le navate abbracciano e riecheggiano quei suoni, ma non tutti le percepiscono così: alcuni fedeli si voltano, sospirano, altri sguardi infastiditi sollevano le spalle, qualcuno comprende e accoglie ma i genitori si scusano e, pian piano, si allontanano. Perché a volte quello sguardo troppo spesso pesa, ferisce e allontana. È la testimonianza di quanto accaduto personalmente e accade tutt’ora nei diversi contesti sociali, un parco giochi, un supermercato, una pizzeria… Anche una semplice visita dal medico, una fila all’ufficio postale, l’ingresso in un posto sconosciuto possono diventare imprese, un’esplosione di crisi improvvise che non riesci a controllare.

Così un momento sociale di condivisione può trasformarsi in esclusione. Da qui una riflessione su alcune di queste difficoltà, con l'obiettivo di sensibilizzare e far capire le sfide che molte famiglie vivono ogni giorno. Spesso si parla di inclusione nelle sue varie forme etichettandola nella giornata dedicata alla “consapevolezza sull’Autismo”, nella giornata dei “calzini spaiati”, della “disabilità”, dell’”essere speciali” … ma c’è una linea sottile alla quale spesso si preferisce rimanere dietro, quando si sfiora la soglia del “disturbo”, quando si preferisce con compassione vivere solo verbalmente questa sofferenza, perché se ne parla anche tanto… quasi da favola chiamandoli i “bambini delle fate”. Tutto giustificato purché non intralci il contesto o per lo meno, laddove lo crei, si giustifica il comportamento di una persona autistica, col fatto che non è il “suo ambiente”. Ed è così che spesso la famiglia assolve il compito di provvedere a tutte le carenze sociali che purtroppo non sono mai sufficienti, facendo valere i loro diritti e, al contempo, dando voce alle loro emozioni e bisogni. 

Siamo tutti sensibili, ma dinanzi all’autismo patologico siamo impotenti. L'autismo, o disturbo dello spettro autistico, rappresenta una realtà complessa e sfumata nelle sue connotazioni da tratti lievi a forma patologica grave. È un avversario invisibile, un’incognita imprevedibile, una neurodiversità con una programmazione tutta sua, un sistema di difficile da decifrare, che non riguarda il bambino presente ma contrassegna il futuro di persona adulta che diventerà.  Questo si traduce in un pellegrinaggio silenzioso tra rinunce e sfide quotidiane. Ogni gesto quotidiano è un equilibrio fragile. A casa tutto ruota attorno a lui. Le giornate si organizzano su misura, nella speranza che nulla lo destabilizzi. Le urla improvvise, le crisi di frustrazione, la fatica nel comunicare e nel trovare ed imparare strategie comunicative alternative: ogni episodio richiede pazienza, sangue freddo, e spesso l’annullamento dei bisogni degli altri membri della famiglia, per l’impossibilità di prevedere e gestire le reazioni del figlio.

Sono necessarie più reti di supporto, strutture, servizi assistenza: oltre il sostegno previsto in ambito scolastico e l’ausilio di terapie frazionate in orari giornalieri, tutta la gestione del tempo rimane relegato ai familiari, uno scoglio difficile perché tutto va sempre strutturato in attività formative e ricreative che rinforzino le loro abilità, competenze e, nello stesso tempo contengano anche le  loro stereotipie ed estraniazioni dal mondo per renderli sempre più partecipi della realtà  sociale circostante anzichè rifugiarsi.

Anche le attività formative ed extrascolastiche, estive  e del tempo libero, o laddove in futuro il ragazzo non possa essere inserito in un ambito professionale, sono spesso limitate e inaccessibili per mancanza di personale specializzato, e laddove ci sia la possibilità, ha costi elevati, e rimane a carico delle famiglie.

Le madri, in particolare, rinunciano spesso al lavoro, e tuttavia, pur prestando assistenza ad un figlio autistico, non sono riconosciute come caregiver, dal punto di vista professionale. L’autismo di un figlio è  anche un lavoro a tempo pieno, non retribuito e non riconosciuto. Questo non vuole giustificare il risarcimento economico: al di là delle rinunce e, a prescindere da tutto, un genitore accompagna il proprio figlio con amore e dedizione in questo viaggio che ti mette spesso alla prova duramente mentalmente e fisicamente.

La neurodiversità ci accomuna in fondo tutti, non solo chi ne è purtroppo patologicamente affetto: ognuno con le nostre qualità, difetti, attitudini… ma tutti, anche se apparentemente autonomi, autosufficienti, abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Il comune denominatore per farci andare avanti insieme rimane in ogni cosa l’ amore reciproco, la dedizione, la resilienza che  ci ricambia con la forza di andare avanti e di vivere “normalmente” ciò che agli occhi appare diverso, anche di chi sta leggendo questo articolo e con compassione accoglie da lontano il messaggio.


di Carmen Mazzeo



 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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