Un volto di ChiesaL’Arsenale della Pace
“La bonta è disarmante”: è questa la scritta, su un muro in mattoni, che accoglie quanti varcano l’ingresso dell’Arsenale della Pace di Torino, realtà dove ho avuto l’opportunità di vivere dei giorni di servizio accompagnando un gruppo di giovani universitari provenienti dalla parrocchia San Gaspare del Bufalo di Roma, parrocchia dove, nel corso del 2024, ho svolto il mio servizio pastorale.
Per una settimana - dal 26 al 31 Agosto - con i ragazzi che accompagnavo e con all’incirca altri 200 giovani arrivati da diverse parti dell’Italia ci siamo immersi nella vita di fraternità, di preghiera e di prossimità propria di quanti abitano l’Arsenale.
Fraternità anzitutto perché a rendere viva questa immensa struttura archittetonica oggi oasi di pace e di accoglienza, ma che fino alla prima metà del secolo scorso era una vera e propria fabbrica di armi da guerra, ad accoglierci e a guidarci nei vari momenti della settimana divenendo nostri “compagni di viaggio” sono stati i membri del gruppo di consacrati - sacerdoti, laici e famiglie - che portano avanti, continuando a farlo camminare sulle proprie gambe, il sogno di Ernesto Olivero e di sua moglie Maria, la giovane coppia che nella Torino degli anni ‘60 attraverso la creazione del “Sermig” (Servizio Missionario Giovani) concretizza, insieme ad alcuni altri giovani, l’idea di vivere cristianamente provando a sconfiggere la fame con opere di giustizia, a promuovere lo sviluppo umano e sociale e a vivere la solidarietà verso i più poveri, tutto questo rifiutando il concetto di avversario e cercando piuttosto il dialogo con tutti.
Preghiera poi perché anche noi come i “padroni di casa” ci siamo immersi in un clima di intimità con il Signore, fonte e foce di ogni attività e di ogni iniziativa all’interno dell’Arsenale: ogni giorno oltre la celebrazione dell’Eucarestia non sono mancati momenti di preghiera, di silenzio, di riflessione e di condivisione scaturenti principalmente dall’ascolto della Parola di Dio e da alcuni tempi di adorazione eucaristica.
Prossimità infine, una prossimità fatta di opere di servizio sul e per il territorio, momenti di animazione, momenti di formazione, scambio di opinioni e non solo, tutto questo perché, così come abbiamo avuto modo di sperimentare, dalla relazione con il Signore alimentata dalla preghiera e dalla relazione con chi condivide la medesima semplice vita di fraternità non può che nascere il desiderio di andare fuori incontro all’altro e non per costringerlo ad assumere il medesimo stile ma per condividere con i gesti concreti, con l’ascolto e con un bel sorriso (che non guasta!) la bellezza e la vicinanza di un Dio che ha riversato e continua a riversare Amore su ciascuna creatura senza alcuna differenza.
Ecco allora che quella dell’Arsenale è stata personalmente (e anche comunitariamente insieme ai ragazzi con cui l’ho condivisa) un’esperienza vissuta intensamente grazie alla quale ho potuto interfacciarmi con il volto di una Chiesa “lievito”, poco interessata ad apparire, poco propensa ai numeri, poco avvezza a cercare subito i risultati, ma tanto incarnata nel territorio che abita - due quartieri tra i più difficili e multi-etnici della città di Torino -, tanto vicina e prossima alla gente e alle sue necessità, votata ad annunciare nella concretezza dei piccoli segni quotidiani il Vangelo e a cercare di costruire un mondo più pacifico e pacificato partendo dalla realtà che la circonda.
di Gabriele Panarello
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