Vangelo e Costituzione Vittorio Bachelet: un martire laico
“Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”. Queste le parole di Giovanni Bachelet pronunciate al funerale del padre Vittorio, ucciso il 12 febbraio 1980 in un attentato delle Brigate Rosse, al termine di una lezione di diritto amministrativo all’Università “La Sapienza” di Roma. Bachelet ricopriva, da dicembre del 1976, l’incarico di Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, durante il settennato in cui Pertini era Presidente della Repubblica. Perché ricordare oggi una vittima degli anni di piombo? Nato a Roma nel 1926, dopo alcuni anni trascorsi a Bologna a seguito del padre Giovanni, ufficiale del genio, Vittorio Bachelet nel 1938 torna a Roma ove frequenta il liceo “Tasso”. Nel ’43, si iscrive nella facoltà di Giurisprudenza ed entra nella FUCI, ove ha incarichi di notevole rilievo. Nella FUCI romana conosce Maria Teresa de Januario, sposata nel 1951. Dal matrimonio nascono Maria Grazia e Giovanni Battista. All’interno dell’ambiente degli universitari cattolici, sin dal tragico periodo dell’occupazione nazista e di Roma “città aperta” e nel secondo dopoguerra, Bachelet matura una scelta di impegno personale da laico per veicolare gli ideali cristiani nella società mediante la formazione, l’esercizio delle varie professioni e il dibattito culturale anche con persone di formazione distante dalla propria. Dal 1949 comincia la carriera universitaria, come assistente volontario prima, successivamente come docente di diritto amministrativo a Pavia, Trieste e alla Sapienza di Roma. Riveste anche vari incarichi presso il Comitato Interministeriale per la Ricostruzione e la Cassa del Mezzogiorno. Parallelamente al suo impegno professionale di giurista, nel 1959 è chiamato da Giovanni XXIII alla vicepresidenza dell’Azione Cattolica. Divenuto Presidente dell’AC nel 1964 su nomina di Paolo VI, rinnova profondamente l’associazione per attuare il Concilio. Distinguendo con chiarezza tra attività politica e azione pastorale, l’AC con Bachelet torna al primato della cura della formazione personale del credente: è il fondamento della “scelta religiosa” che Bachelet imprime all’associazione, secondo l’insegnamento del Concilio e in particolare dell’“Apostolicam Actuositatem”, per mettere in pratica il Vaticano II attraverso l’apostolato di laici al servizio della Chiesa e in dialogo con il mondo contemporaneo. La lunga stagione di impegno in AC culmina con il nuovo Statuto associativo del 1969 e termina quando lascia la presidenza nazionale nel 1973. Bachelet, comunque, non nega mai la validità dell’impegno politico: egli stesso è per breve tempo, consigliere comunale per la DC a Roma. Si dimette quando, nel dicembre 1976, nel settennato della presidenza della repubblica di Sandro Pertini, viene eletto Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Sono anni difficili tra il terrorismo, culminato nel ’78 col rapimento di Aldo Moro, amico di Bachelet, e le contrapposizioni ideologiche all’interno della magistratura e dello stesso CSM. Bachelet, uomo di dialogo, riesce spesso a giungere a soluzioni unitarie e condivise. Dopo il delitto Moro Bachelet, pur consapevole di essere un potenziale obiettivo del terrorismo, rifiuta la scorta per non mettere rischio la vita di altre persone, scelta che fa di lui un facile bersaglio per le BR al termine della sua ultima lezione tenuta nell’aula intitolata proprio ad Aldo Moro. Uomo di profonda fede cristiana e di indubbia rettitudine morale, Vittorio Bachelet costituisce, pertanto, un modello ancora attuale di vita cristiana, al servizio dello Stato e delle istituzioni per la ricerca del bene comune, con due soli costanti punti di riferimento: il Vangelo e la Costituzione.
Alessandro Di Bella
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