Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diranno. (Deut. 32, 7) - Ragazzi, gi
Il dinamismo della trasmissione da una generazione all’altra dei saperi vitali, del patrimonio storico culturale che caratterizza un popolo, dei valori e della fede, sembra decisamente essersi inceppato. Alcune indagini di carattere sociologico descrivono gli adolescenti e giovani di oggi, i millennials cioè i nati dopo il 1980, come la “prima generazione incredula”: Dio non ha alcuna importanza nella loro vita e sembra che la situazione in atto non lasci intravvedere sbocchi positivi per il futuro! Non si tratta più di scegliere da che parte stare, o con Dio o senza Dio. C'è una terza opzione: puff, lasciare che tutto evapori, disinteressarsene. La questione, appunto, “non ha nessuna importanza”. A pelle, per la mia piccola esperienza di insegnante di religione cattolica nelle aule scolastiche di un liceo da oltre un trentennio e di parroco, da poco tempo, in un territorio seppure poco conosciuto ed esplorato, posso concordare che intercettare l’animus, il sentire profondo, di adolescenti e giovani è cosa molto ardua. Il loro vissuto emozionale, la loro rappresentazione del mondo, il loro linguaggio da nativi digitali, le loro vite saziate da pub, discoteche, palestre e vacanze premio sono altro rispetto al mondo degli adulti che difficilmente si accettano come “adulti” responsabili dei figli che pure hanno generato, protesi più alla cura di sé e del proprio destino che non a spendersi come dono per le nuove generazioni.
Scrive un pastoralista, Matteo Armando: “Ci sembra di poter dire che gli adulti di riferimento dei Millennials hanno certamente chiesto per loro i sacramenti della fede, ma senza alcuna fede nei sacramenti; li hanno portati in chiesa, ma non hanno loro portato la Chiesa, hanno insistito che essi dicessero le preghiere e leggessero il Vangelo, ma non hanno mai pregato insieme e letto insieme il Vangelo; hanno pure favorito l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche e private, ma hanno alla fine ridotto la religione a una questione della scuola, oltre che della parrocchia. È mancata una testimonianza sul vivo di cosa significa «essere adulto che crede» ed è proprio questa mancanza che rende ragione dell’incredulità dei giovani adulti: della loro fatica a comprendere come e dove collocare l’esperienza della fede nel loro sempre più imminente ingresso nell’età adulta. E tutto questo non è stato ancora sufficientemente meditato dalla comunità credente. (...)
Non è certo semplice delineare il volto della nuova pastorale giovanile che ci serve.
Ma è facile indicare quale sia il prerequisito necessario perché possa essere efficace: la necessità di ascoltare i giovani con pazienza, di partire dalle loro inquietudini e richieste, e di imparare a parlare il loro linguaggio.
Il punto d’arrivo ci sembra essere il seguente: come Chiesa abbiamo il compito di mostrare maggiormente come nelle condizioni culturali odierne possa articolarsi il discorso sulla fede e quello della vita adulta e matura".