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Il Servo sofferente

Uno dei temi dominanti del Vangelo di Marco è - come noto - il cosiddetto "segreto messianico". Fin dall'inizio del Vangelo assistiamo ad una singolare insistenza di divieti, da parte di Gesù, circa la propria identità di Messia. Perché mai questo rifiuto di farsi riconoscere come tale? Perché tutta questa reticenza? Sappiamo bene come nella Palestina del I° secolo d.C., era dominante una concezione nazionalistica, politica, finanche bellicosa del Messia: sarebbe stato il liberatore di Israele dal dominio romano palesandosi alla stregua di Davide, come un re guerriero, con azioni sensazionali. Gesù contesta decisamente una simile visione di Messia, portando a compimento la sua missione come Servo obbediente del Padre e dei fratelli, preoccupato di non mettere in mostra la sua persona, per apparire unicamente come araldo del Vangelo del Regno. Marco introduce pian piano i suoi lettori lungo tutto il Vangelo fin dentro il Mistero Pasquale, invitandoli piuttosto a contemplare e a riconoscere nel Crocifisso, la figura misteriosa del Servo Sofferente del Deutero-Isaia ( Is 42 ; 49 ; 50 ; 52-53 ) ed in lui il Messia, il Figlio di Dio (15,39).

La croce si impone da subito ai discepoli, alle prime comunità (ed anche a noi) in tutto il suo nonsenso, colmo di sofferenza, di crudeltà e di delusione: come può quel povero carpentiere, finito in croce fra due malfattori, ucciso come un bestemmiatore dal potere religioso e come un sovversivo dal potere civile, come può quell'uomo morto su un infame patibolo essere “l'autore della vita” (At 3,15)? Marco ci dice che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, speranza e salvezza dell'umanità, ma questa speranza non si manifesta attraverso l'esercizio del potere e della violenza, ma attraverso la follia e lo scandalo della croce.

Come Chiesa, a scanso di equivoci, abbiamo il dovere di imprimere bene nel cuore che il nostro Messia è il Crocifisso. Se non ci convertiamo (1,15), se non cambiamo mentalità imparando a pensare secondo il cuore di Dio (8,33), non avremo capito nulla del nostro Maestro correndo il serio rischio di “vanificare la croce di Cristo” (1Cor 1,17).

Non saremo molto diversi da Pietro, prototipo di ogni discepolo, che voleva anteporsi a Gesù facendosi lui il maestro. “Questo passaggio è l'esodo dall'idolo di morte al Dio della vita, dall'autogiustificazione di una religione a misura umana alla verità della Fede” (cit.).

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